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honky tonk girl
di Davide Albini (05/02/2019)
Buone nuove dal Texas, con
un’autrice poco più che ventenne che sembra portare sulle spalle un’esperienza
di vita vissuta che si spinge ben oltre la sua giovane età. Carson
McHone bazzica gli honky tonks e i locali dal vivo di Austin dalla
tenera età di sedici anni, da quando ha cominciato a lavorare come barista,
facendosi poi largo verso i riflettori del palco. Tipica storia americana,
penserete voi, e ci siete andati vicino: d’altronde, per cantare questo
tipo di country music, tradizionalista nel cuore e “alternativa” e schietta
nelle tematiche, non si può che avere frequentato direttamente un certo
circuito musicale, lì dove Carson si è fatta valere e ha ottenuto il plauso
di colleghi come Ray Wylie Hubbard, che su di lei ha dichiarato: “Scrive
canzoni come se la sua stessa vita dipendesse da queste ultime”.
Carousel è il suo esordio vero e proprio a livello nazionale,
dopo un debutto rimasto circoscritto al solo Texas (Goodluck Man,
nel 2015), album pubblicato la scorsa stagione negli States e adesso proposto
sul mercato europeo dall’inglese Loose, i cui talent scout hanno assistito
entusiasti ai concerti della McHone durante le recenti edizioni del famoso
festival cittadino, il South by Southwest. Prodotto da Mike McCarthy (Spoon,
Heartless Bastards) fra Nashville e la nativa Austin, sostenuto da un
parterre di musicisti di prima scelta (dove spiccano fra gli altri Glen
Duncan e Jerry Roe), Carousel fa il punto della situazione, rivisitando
una manciata di brani già presenti nel citato Goodluck Man, oggi interpretati
con un suono più maturo, e aggiungendovi qualche inedito.
È la carta vincente che Carson si gioca per imporre la sua figura sul
palcoscenico dell’Americana: la proteggono idealmente le figure di Emmylou
Harris e Patty Griffin, punti di riferimento innegabili, nel presente
restano le sue canzoni, dal tono confessionale, autobiografico e intensamente
vissuto, episodi quali Sad, Drugs
(esplicita nell’esporre i contrasti e i desideri della dipendenza… I
need drugs ripete come un mantra la nostra Carson), Dram Shop Gals,
fino alla stessa Goodluck Man, ballata
d’ambientazione alternative country e desertica. La voce di Carson McHone
è una presenza importante, possiede quella giusta cadenza, agrodolce e
nostalgica, per cantare dai margini dell’America, mentre lo stile della
band segue un percorso di ruspante honky tonk elettrico (la vivace Lucky,
gli echi western swing di Maybe They’re Just
Really Good Freinds), alternato a momenti più intimi, walzer
texani dal sapore antico che prendono il sopravvento, soprattutto nel
finale, chiudendo il sipario con l’acustica Spider
Song, in accoppiata chitarra e archi.
Il cammino di Carson McHone è soltanto all’inizio, con tutte le incognite
e le sfide di una scena come quella roots, dove la concorrenza non manca
e ti può schiacciare, ma il carattere sembra essere già forgiato e pronto
alla sfida.