Rivoltato, rivisitato e
corretto più volte, si tratta pur sempre del buon vecchio “sogno americano”,
che Jeremy Ivey non ha paura di investigare in questo The
Dream and the Dreamer, a costo di far pagare un prezzo troppo
alto alle sue canzoni. Trattandosi poi di un esordio, a quarant’anni suonati,
c’è da alimentare ogni tipo di sospetto, fugato tuttavia dalle prime note
di Diamonds Back to Coal, chitarra cadenzata a passo country rock
di frontiera, riverberi e voce cantilenante, che saranno il leit motiv
di tutto l’album. Ivey ha deciso di esporsi dopo una lunga gavetta, retrovie
del suono country soul con il progetto Buffalo Clover, ma soprattutto
chitarrista al fianco della compagna Margo Price, brillante stella della
scena Americana di oggi, la quale restituisce fiducia al marito e lo sprona
in questo viaggio solitario.
Autore già apprezzato in abbondanza dai colleghi dell’altra Nashville,
è qui che Jeremy, in un piccolo studio di registrazione casalingo con
Evan Donahue alla sei corde solista, Coley Hinson al basso, Josh Minyard
ala batteria e Alex Munoz alla lap steel, dà forma alle sue ballate
impigrite e dai tratti noir, alternando country elettrico dalle tenui
volute psichedeliche e modi più spicci che ricordano vecchi honky tonk
e la stagione d’oro del genere al crepuscolo dei sixties. Diamonds
Back to Coal, come accennato, traccia il sentiero, ha un’anima
ecologista e una visione incupita dalle conseguenze del “Make America
great again” dell’era trumpiana. Il resto, con la sognante Falling
Man, segue per corollario, con carezze sospese, inquietudini e note
autobiografiche, che si allungano nella indolente tensione di Story
of a Fish (Ivey figlio adottivo che si paragona ad un salmone) e la
seconda voce di Margo Price che prende a braccetto Jeremy nell’ode alla
strada per eccellenza di Greyhound
(l’isprazione un viaggio dal Massachusetts giù fino alla nativa Georgia).
Quest’ultimo brano infoltisce la parte più “tradizionalista” del disco,
qualche nota di piano honky tonk che risale la corrente nell’agrodolce
Worry Doll e una pencolante filastrocca folk rock dai sapori sudisti
intitolata Ahead, Behind. C’è da ipotizzare
che Ivey abbia scavato nei solchi di Willie Nelson e George Jones, ma
si sia premurato di studiare a memoria anche Bob Dylan e Leonard Cohen:
la tenebrosa chitarra che squarcia la solitudine di Laughing
Willy a spanne sembra proprio sbucare da quei sentieri, mentre
l’inflessione un po’ monocorde di Gina the Tramp, sempre scossa
dall’eco distante del twang delle chitarre, o la svogliata dolcezza della
stessa The Dream and the Dreamer ricordano da vicino un collega
contemporaneo come Kevin Morby alle prese con la tradizione.
Con la sua musica Jeremy Ivey dichiara di voler colmare “i buchi che riesco
a vedere nella scena”: come a dire, la sceneggiatura è sempre quella,
ma gli interpreti possono fare la differenza.