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resurrection rock di
Fabio Cerbone (20/12/2018)
“Non
sono Steve Earle, ma mi sento bene”, confessa tra ironia e umiltàKasey
Anderson in Clothes Off My Back, ballata elettrica d’atmosfera che, come
buona parte del materiale raccolto in From a White Motel, prende
ispirazione dalla sua odissea personale di uomo, prima ancora che di artista.
Sono infatti voce e songwriting di Kasey, timbro rauco che ricorda proprio un
giovane e impenitente Earle di dischi quali Copperhead Road e Hard Way, a guidare
il progetto Hawks and Doves, nulla a che vedere con Neil Young e l’omonimo
album, semmai con quel rock americano da strada maestra e dalle vibrazioni classiche
e romantiche, che esce prepotentemente allo scoperto nell’uno due iniziale di
The Dangerous One e Chasing the Sky.
Le
ombre, i soliti sospetti e naturalmente i padri nobili li conosciamo, da Springsteen
a Tom Petty, ma dietro la musica di questo quartetto di Portland, completato dalle
chitarre di Jordan Richter, il basso e organo di Ben Landsverk e la batteria di
Jesse Moffat, si cela qualche arma in più, un debole per ballate confessionali,
luoghi oscuri e un sound che strada facendo si fa più notturno, livido ed emozionato
a seconda dei momenti. Sul groppone porta il peso schiacciante della biografia
di Anderson, un tempo non lontano piccola promessa della scena roost rock, che
anche noi avevamo seguito con interesse: un paio di lavori incoraggianti, la bella
affermazione con Heart
of a Dog insieme agli Honkies, quindi il buio totale, inghiottito dalla
diagnosi di disturbo bipolare che lo aveva condotto verso un delirio privato e
pubblico, storiaccia di soldi truffati ad amici e conoscenti. L’ostracismo iniziale
della comunità artistica, quindi il carcere e la lenta riabilitazione: una vicenda
complicata, che aveva lasciato di stucco anche i suoi sostenitori, tra i quali
Adam Duritz dei Counting Crows, che ha concesso una seconda chance a Kasey, coinvolgendolo
in un progetto benefico.
Da lì nasce concretamente l’idea di tornare alla
vita e alla musica suonata con Hawks and Doves, rock’n’roll band che si coalizza
per registrare una cover dei Tender Mercies (side project del chitarrista dei
Counting Crows), Wiseblood, traccia inclusa come bonus nell’edizione digitale
di From a White Motel. Quello che interessa però è il materiale autografo, la
discesa a patti con i propri fantasmi, che ha generato un disco intenso e sincero,
un onesto esempio di classic rock americano che possiede sufficiente freschezza
per calcare i sentieri di certa tradizione dura a morire, senza apparire un esercizio
di stile: accade quando le incisioni degli Hawks and Doves, avvenute nei Room
13 Recording di proprietà del chitarrista Jordan Richter, attingono a certe sfumature
soul e non rinnegano una forma di sporcizia blues in
Every Once in a While, Get Low e Geek Love, oppure quando
affondano nella coltre di Lithium Blues, la
cura che Kasey è stato costretto a seguire per migliorare la sua condizione, e
che tuttavia ha rischiato di farlo cadere di nuovo nel baratro, come testimonia
il racconto della stessa From a White Motel.
Una comunità intera
di musicisti – dalle chitarre di Eric Ambel e Andrew McKeag (President of the
USA) al sax dello scomparso Ralph Carney (Tom Waits band) fino alle voci di Kurt
Bloch (Young Fresh Fellows) e Kay Hanley (Letters to Cleo) - ha fatto squadra
intorno a lui, segnale forse che il talento di Kasey Anderson non doveva andare
sprecato e che da certi errori e tenebre si può sempre tornare indietro: qualche
volta il rock’n’roll salva ancora la vita, o quanto meno aiuta ad affrontarla
con una rinnovata consapevolezza.