Nota introduttiva a "Una canzone per Billie Holiday"
di Gianni Del Savio

(per gentile concessione della Selene Edizioni)

Come una foglia d'autunno che a volte sembra cadere, ma non cede al vento, una foglia dalle tonalità malinconiche ma anche intense e brillanti, con sfumature imprevedibili. Questa è lei, per diversi anni, questa è la sua voce. Ma prima cambia identità. Da Eleanora diviene Billie, forse giocando con "Bill", nomignolo con cui l'apostrofava il padre per certi suoi atteggiamenti mascolini, o in omaggio alla popolare attrice Billie Dove. All'occasione, provocatoriamente, si presenta come "William", così come a volte la chiamava Count Basie.
Alexis De Veaux ne racconta la vita con stile particolare, delineandone la figura, luci ed ombre. Lo fa intessendo fatti, aneddoti e sensazioni che dal '56, anno della controversa autobiografia (1) e con rinnovato interesse dopo il libro di John Chilton ('75) (2) hanno alimentato pagine e pagine di testi di ogni genere. Una canzone per Billie Holiday sfoglia il calendario con taglio diverso dai numerosi altri scritti sulla complessa, drammatica e sfavillante storia della grande interprete. Una scrittura agile, quanto evocativa, densa di richiami e stimoli per attivare sentimenti, sottolineature e qualche flashback.
26 ottobre 1938. Billie Holiday e la Artie Shaw Orchestra (tutti bianchi) prendono alloggio al Lincoln Hotel di New York. La proprietaria impone alla cantante di non entrare nella Blue Room dall'ingresso principale. Più tardi la Holiday denuncerà all'Amsterdam News di New York la discriminazione nei suoi confronti e la graduale estromissione dalle serate con Shaw dopo i successi ottenuti al Sud: "Fino ad allora non eravamo mai incappati in problemi di colore della pelle (3) ma qui non mi era permesso di andare al bar o in sala da pranzo, come facevano gli altri della band. Non solo dovevo entrare e uscire dall'hotel attraverso la cucina, ma poi dovevo rimanere sola tutta la sera (4) in una piccola stanza fino a che non mi chiamavano per il mio numero, e i miei turni divenivano sempre più rari col passare del tempo". E, nel novembre '39, intervistata da Down Beat: "Quando non cantavo dovevo stare dietro le quinte. Artie non mi lasciava sedere sul palco, in fronte alla band. Al Lincoln Hotel dovevo attendere in una stanzetta raggiungibile con un montacarichi e stavo lì, dalle 22 alle 2 del mattino, aspettando di essere chiamata, scendere e cantare solo un paio di brani. Una notte era previsto un collegamento radio, e Artie mi disse che non poteva farmi cantare". (5) Le pressioni, alle quali sino ad allora Shaw era riuscito a resistere, ebbero il loro effetto, e la Holiday, che comunque non era completamente a suo agio nel ruolo di cantante di una big band ­ come le era successo mesi prima con Count Basie ­ alla fine decise di lasciare
La storia della sua nascita e infanzia è confusa ­ come infinite altre storie afroamericane ­ e presenta alcuni dati contrastanti fra le fonti, dati ai quali ha messo un po' d'ordine Stuart Nicholson, documentando accuratamente un'importante biografia, con tanto di intricato albero genealogico, in appendice. (6) Tra l'altro, per molti anni, Baltimora è stata indicata come sua città natale, e ancora oggi vari testi usano questo riferimento. È invece accertato che la Holiday abbia visto la luce, il 7 aprile 1915, all'ospedale di Filadelfia, dove la madre, Sara "Sadie" Fagan Harris (7) aveva trovato lavoro come donna delle pulizie. A complicare le cose, alla nascita di Eleanora (Elinore, Eleanor), lei dichiara di aver avuto la bimba da tale Frank DeViese (DeVeazy), ma poi alla figlia dirà che il vero padre è Clarence Earnest Holiday (o Holliday, futuro musicista di Fletcher Henderson e Don Redman), mai sposatosi con Sara. Questi non sono solo dei marginali elementi biografici, ma anche alcuni dei segni destabilizzanti che Billie si porterà dentro oltre a quello, profondamente drammatico, dello stupro subito da adolescente. Segni che aggiungono peso al bisogno di affetto e ammirazione, di protezione e sicurezza, espressi anche nel modo contrastante di esibire o donare il proprio corpo a chi voleva, maschio o femmina. O addirittura di permettere agli uomini a cui si lega di picchiarla anche duramente purché, sostanzialmente e in qualche modo, la difendano dal mondo esterno, dalla paura dell'abbandono, dalla solitudine. Ai soprusi subiti (quelli di carattere socio-razziale individualmente insormontabili), al marchio dell'illegittimità e, di fatto, alla mancata presenza paterna, alla trascuratezza della madre e le non rare conflittualità con la stessa (l'amara God Bless The Child sarà ispirata proprio da una discussione fra loro), Billie reagisce con un'insaziabile ricerca di affetto e protezione. Si difende isolandosi e rifugiandosi nell'alcol e nelle droghe pesanti, ma soprattutto con la dedizione estrema alla musica, momento e "luogo" in cui ritrova se stessa ed esprime prepotentemente l'intimo. Tutti elementi forti che l'accompagnano giorno per giorno quando tocca con mano l'ipocrisia di un mondo, in particolare quello dello spettacolo, che la cerca e la blandisce, la stima ma ne teme imprevedibilità e singolarità caratteriali e interpretative. La vorrebbe modellare secondo canoni e stereotipi, prevalentemente razziali, come quando le riserva il ruolo di cameriera nel film New Orleans (1947), dove si trova a fianco di Louis Armstrong, o quando le impone di truccarsi perché la ritiene troppo chiara di pelle. Riesce anche a mandarla al macello in una serata da dimenticare al teatro Smeraldo di Milano (8) Intanto gli uomini di cui s'innamora -e che in qualche caso sposa- non faranno che incrementare il carico delle disillusioni e della violenza, condividerne e persino sfruttarne la dipendenza dalle droghe. Con loro Billie sembra accettare il ruolo tradizionale della donna, disposta a subire tutto pur di non perderli: "Per andarmi bene, un uomo deve dominarmi in ogni momento", dichiara a Ebony nel '50 (9) Un ruolo espresso anche nella scelta di qualche canzone ­ tenendo presente che lei rifiutava quelle che non sentiva sue ­ Don't Explain (10) e My Man fra queste. Diversamente, Angela Davis sostiene che alcune di quelle sue interpretazioni sovvertono il significato letterale dei testi, di fatto rivelando una presa di coscienza del contenuto masochista (11)
A un certo punto le mancherà anche Lester Young, il grande sassofonista divenuto uno dei suoi rari, intimi amici dopo le session del '37 e fino al '51 (ma già nel '34 si erano ritrovati in qualche jam, e intanto lui alloggiava a casa di Sadie e Billie). Lei lo chiama "President", "Prez", lui la gratifica con un sontuoso "Lady Day" e le regala splendide sottolineature strumentali, duetti e controcanto di ineguagliate affinità. Lee Young, batterista e fratello di Lester: "Lei era come un musicista, pensava come uno strumento a fiato. Erano fratello e sorella, Se ascoltate attentamente, lui suonava come lei cantava e lei cantava come lui suonava (12) Mai chiarito il motivo del distacco, ma sembra che una banale discussione sia precipitata quando Young le rimprovera l'uso di eroina (13) I due si riabbracciano nel luglio del '54 al Festival Jazz di Newport quando il tenor-sassofonista sale sul palco, un po' inaspettatamente. Nulla fra loro tornerà come prima, ma resta indimenticabile la commovente sequenza che la vede rivolgergli un tenero e malinconico sguardo quando lui prende l'assolo durante Fine And Mellow, per il programma televisivo The Sound of Jazz, nel dicembre '57. L'affettuoso, sensibile e geniale Young, che starà lontano dalle droghe pesanti ma non dall'alcol, se ne andrà qualche mese prima di lei, il 19 marzo '59.
Nell'affrontare la "condizione umana" Billie ha dalla sua quel meraviglioso dono della voce: estensione limitata e potenza non paragonabile a quella di Bessie Smith, suo riferimento primario insieme a Louis Armstrong, ma duttilità estrema e tratti irresistibilmente coinvolgenti. Voce che usa per (ri)modellare e personalizzare qualsiasi canzone, impreziosendola con fraseggi dalle coloriture inconfondibili, con "modulazioni malinconiche" o stemperate espressioni gioiose e ironiche, e un'innato senso del ritmo, dello swing. Propensione a enunciare i testi fornendo spessore anche a quelli dalla disarmante banalità, fino a creare un suono nuovo, minimalista, delle parole. Agli inizi non sempre è apprezzata da musicisti, promoter e proprietari di locali, spiazzati dalle sue inconsuete, inattese sillabazioni e dalla tendenza a cantare languidi slow, più che veri e propri blues o i più richiesti e festosi uptempo. Ma presto diviene "strumento guida" per molti dei musicisti stessi e riferimento per il canto jazz, e non, a seguire.
Di fatto, pochi artisti suscitano, nel corso del tempo, una così universale condivisione delle emozioni, su diversi livelli, da quelli più occasionali, ai più appassionanti e passionali. Un canto che ­ associato alla sua affascinante figura ­ si insinua inesorabilmente sottopelle per arrivare ai livelli emozionali più intimi e in qualche caso sovvertirli. Nel '79, Barney Josephson, proprietario del Cafè Society di New York, ricordando le esibizioni della Holiday nel suo locale nel '39, dirà: "Come performer ti poteva far innamorare, poteva spezzare il tuo cuore. Molto di quello che faceva finiva per spezzarti il cuore. Non c'era nessun altra persona sulla faccia della terra come lei. Billie Holiday era una copia unica" (14) E poi, volto magnifico, quello sguardo che spesso sembra chiedere più che spiegare ma che non si abbassa quando lei disegna un doloroso, provocatorio Strange Fruit, in un'epoca in cui ­ siamo nel '39- nessuna major discografica avrebbe osato incidere con qualsivoglia artista. Tantomeno la Columbia, che pur allineava un "liberal", contraddittorio e controverso, come il produttore John Hammond che criticò la scelta della canzone. Lo fece un'etichetta indipendente, la Commodore. Un momento ­ una sfida ­ delicato e importante che mostra una giovane donna, ventiquattrenne, tutt'altro che uniformata e sottomessa, dopo qualche esitazione iniziale nell'accettare la canzone dall'autore (Lewis Allen, alias Abel Meeropol). David Margolick riporta considerazioni e opinioni più articolate e contrastanti nel suo saggio sulla canzone stessa (15) ma è così, determinata e consapevole, che la delinea invece Angela Davis (16) Maya Angelou, raccontando di quando la Holiday rispose alla domanda del figlio dodicenne che, sentendola cantare Strange Fruit, le chiese che significasse "scena pastorale" ("pastoral scene of the gallant South"), ricorda che la sua faccia divenne crudele e disse, con voce rabbiosa e sprezzante: "Significa quando i bianchi (17) uccidono i negri (18) Quando prendono un piccolo negro come te, gli strappano le palle e gliele ficcano giù per la gola. Questo significa" (19) E Robert O'Meally annota che nel '45, Billie ispirò Robin Carson a scattarle una delle più famose foto ­ un bellissimo primo piano con la gardenia tra i capelli ­ cantandogli proprio Strange Fruit, a cappella (20)
Poi la foglia cade. È il 17 luglio 1959. Che stia per succedere, lo si avverte da tempo e una volta di più nel pur pregevole Lady In Satin (registrato nel febbraio del '58), in particolare nelle grevi note a cappella di una take di The End Of A Love Affair, di cui ripassa il testo. "È morta. Lady Day cantava con l¹anima dei neri (21) e nelle sue canzoni risuonavano secoli di dolore e oppressione. Che peccato che quella orgogliosa, intelligente e sensibile donna nera non abbia potuto vivere là dove la grandezza vera della sua razza sarebbe stata apprezzata!". Queste le parole di Malcolm X nella sua autobiografia (22)
Di lei ci rimane l'immagine di una donna affascinante, sensuale, umorale e generosa. Allo stesso tempo indifesa e tenera, gioiosa e infantile, aggressiva e fiera, e all'occorrenza disinvolta e disinibita nell'usare un linguaggio volgare. Una donna spesso inafferrabile, sostanzialmente indecifrabile, come suggerisce Rita Dove, al termine del suo poema Canary (1989), col verso "If you can't be free, be a mistery", dal quale Farah Jasmine Griffin ricaverà il titolo del suo eccellente libro-tributo (23) Ci rimane il suo straordinario segno emotivo e stilistico, fatto di trame jazz, pop, blues (fonte specifica dalla quale però si tiene a distanza, e nonostante l'ammirazione per Bessie Smith solo nei '40 riprenderà alcuni brani dal suo repertorio, tra cui Ain't Nobody's Business If I Do e Gimme A Pigfoot And A Bottle Of Beer. Rimane infine la sua grande influenza su buona parte delle voci femminili, jazz singers, chanteuses e simili. Ma l'affinità interpretativa, alimentata dalle "torch songs", è rilevabile anche nel canto androgino del grande Jimmy Scott, in quello etereo di Chet Baker e, pur in generi musicali alquanto diversi, nelle modulazioni di Little Willie John e Clyde McPhatter. Molti i cantanti che hanno ripreso il suo repertorio e non pochi quelli che le hanno dedicato un intero album, pur con risultati alterni (24)
Con un testo dal tocco, anche grafico, che porta il lettore a immaginarne la colonna sonora, Una canzone per Billie Holiday è poema-racconto commosso e dolente, con tratti illuminanti. Gli avvenimenti e i personaggi coinvolti, fluiscono come in un fiume impetuoso, in altri momenti leggero, dolce, pacato. L'autrice di questo libro delinea con affetto e sensibilità la figura della grandissima artista, anche toccandone gli spigoli, determinando nel lettore compassione, tenerezza, inquietudine. Nel farlo, sta lontana dalla morbosità voyeuristica e dal moralismo che in altri casi prevalgono (anche il film del '72 di Sidney J. Furie, con Diana Ross, fa la sua parte) sulla straordinaria e innata capacità di rinnovare l'arte interpretativa della Holiday. L'irresistibile desiderio di ascoltare il suo canto senza tempo non è un semplice effetto collaterale.
(Gianni Del Savio)

Note
1) Billie Holiday - William Dufty, La signora canta il blues, Feltrinelli, 1996.
2) John Chilton, Billie's Blues: The Billie Holiday Story 1933-1959, Da Capo, 1989.
3) In realtà non era stato così: spesso aveva dovuto mangiare e alloggiare sul bus della band, o all¹esterno dei locali, o comunque con modalità che la discriminavano per il colore della pelle.
4) Quando iniziava lo show, che era prevalentemente strumentale con qualche brano che prevedeva l'intervento della cantante.
5) Due dichiarazioni riportate in Ken Veil, Lady Day's Diary ­ The Life Of Billie Holiday 1937-1959, Castel Communications, 1996.
6) Stuart Nicholson, Billie Holiday, Indigo, 2000.
7) Nella sequenza e alternanza dei cognomi da lei utilizzati si aggiungerà quello del secondo marito, Gough.
8) Nel novembre 1958 si esibì nel corso di due serate in cui erano previsti giocolieri e comici. Fu sonoramente fischiata e la prevista settimana d'ingaggio fu annullata.
9) Stuart Nicholson, cit., 2000.
10) Alcune significative canzoni di cui è autrice o co-autrice: Don't Explain, God Bless The Child, Fine And Mellow, Billie's Blues, Left Alone, Tell Me More, And More And Then Some, Lady Sings The Blues (elenco e dati completi sono riportati in appendice al libro di Nicholson).
11) Angela Davis, Blues Legacies And Black Feminism, Pantheon Books, 1998.
12) Donald Clarke, Wishing On The Moon, Da Capo, 2000.
13) Stuart Nicholson, cit., 2000.
14) Ken Veil, cit., 1996.
15) David Margolick, Strange Fruit, Arcana, 2000.
16) Angela Davis, cit., 1998.
17) "Crackers", nell'originale, dispregiativo che sta ad indicare un bianco del Sud, probabilmente derivato dal rumore della frustata.
18) "Niggers", nell'originale.
19 Maya Angelou, The Heart Of A Woman, Virago, 1988.
20) Lady Day, The Many Faces Of Billie Holiday, Da Capo, 1997.
21) "Negroes", nell'originale.
22) Malcolm X - Alex Haley, Autobiografia di Malcolm X, Einaudi, 1967.
23) Farah Jasmine Griffin, If You Can't Be Free, Be A Mistery, The Free Press, 2001.
24) Alcuni di questi (in qualche caso la data indicata è quella della ristampa più recente): Chet Baker: Plays & Sings Billie Holiday, Polygram, 1989; Tony Bennett: On Holiday, Columbia, 1997; Rosemary Clooney: Tribute To Billie Holiday, Concord Jazz, 1992; Sam Cooke: Tribute To The Lady, Abkco, 2003; Miki Howard: Miki Sings Billie ­ A Tribute To Billie Holiday, Giant/Reprise, 1993; Etta James: Mistery Lady ­ Songs Of Billie Holiday, Private, 1994; Abbey Lincoln: Abbey Sings Billie, Voll I e II, Enja, 1987; Carmen McRae: Sings Lover Man And Other Billie Holiday Classics, Columbia/Legacy, 1997; Diana Ross: Lady Sings The Blues, (colonna sonora), Motown, 1994; Nina Simone: Sings Billie Holiday, Stroud, 1972.

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