Questlove Musica
è storia: diramazioni black del ventunesimo secolo
- a cura di Gianni Del Savio -
Questlove
Musica è storia [Jimenez,
pp.379]
Gli siamo molto grati per aver curato la recente
pubblicazione dell’imperdibile “Summer of Soul”, filmato dello storico
festival tenutosi a Harlem nel 1969, a partire da fine giugno, e durato
sei weekend. Incrociando il festival rock di Woodstock, a metà agosto,
ne era stata oscurata in parte l’eco, anche mediatica. Parafrasando
un famoso brano di Gil Scott-Heron, il film in questione è sottotitolato
“… or when the revolution could not be televised”. Tanto dovevamo all’eclettico
batterista dei Roots - duo formato nell’87 a Philadelphia insieme
al rapper Tariq "Black Thought" Trotter, e successive aggiunte di strumentisti
-, nonché consumato dj.
Ahmir Khalib “Questlove” Thompson – citato anche come ?uestlove
- in questo stimolante e scintillante libro, ci guida in un viaggio
cultural-musicale di oltre trent’anni. Prevalentemente indirizzato alla
black music, ma con opportune, anche inattese diramazioni verso altri
“colori e sfumature stilistici”. Forte del suo eclettismo, mette in
atto tutte le tecniche e le conoscenze musical-critiche dei migliori
e instancabili miscelatori di sala o radiofonici. Stimolante e indispensabilmente
“provocatorio”, anche se non tutto può risultare immediatamente recepibile
e/o condivisibile: a volte sbrigativo (del genere: “se hai capito e
conosci, hai capito”, sennò…), ma prevalentemente sostanzioso ed esplicativo,
non privo di giocosità e humour. Il capitolo dedicato al 1997 recita:
“Muoversi come se si stesse fermi”; e il sottotitolo sottolinea: “Tutti
quelli che la storia si porta appresso si muovono alla stessa velocità?”
wow!
La divisione in capitoli-calendario inizia nel 1971 (suo anno di nascita),
col titolo Distesi sulla ruota della storia, e termina , ufficialmente
nel 2020 (ma poi va oltre), come Il nostro ventunesimo secolo.
Tutte le pagine iniziali hanno una “ tabella riassuntiva”: un telegrafico,
non banale elenco di alcuni degli avvenimenti, prevalentemente storici
e socio-politici, che ne caratterizzano l’anno. Insomma, un quadro iniziale
orientato verso il clima che stimolava o accompagnava l’evoluzione stilistica
della black music stessa, prevalentemente ma non esclusivamente... Le
coordinate artistiche e sociali di base sono quelle con le quali è cresciuto
l’autore (originario di Philadelphia): da adolescente non può che essersi
alimentato di funk, disco, rap e pop, miscelati in vario modo con blues,
rock e jazz da quel decennio in poi. E ora, qui sostanzialmente scorre
black music, soprattutto hip hop - con l’evoluzione e contaminazioni
dei vari anni che si susseguono -, ma anche alcune delle suddette “propaggini”
stilistiche, dell’epoca.
Grande capacità di incuriosire: brillante e pungente quanto basta e
qualcosa di più, funziona ed agisce proprio come fosse il montaggio-miscela
di un dj che ha a disposizione più piatti sui quali far interagire i
singoli “vinili”. Un percorso che a volte diviene “labirintico” e richiede
grande attenzione e poca fretta di arrivare fino in fondo. Sono vari
i momenti, anche vorticosi, adrenalinici e “provocatori”: tanto, a volte,
da rischiare di perdere il filo del racconto, alimentato da collegamenti
che mettono a dura prova le conoscenze e l’attenzione del lettore, ma
fanno scattare stimoli di approfondimento, di ricerca, di scardinamento
degli stereotipi. Così scorrono a più riprese i prodotti vinilici dei
vari Prince, Michael Jackson (e della sorella Janet), Marvin Gaye, Temptations,
Stevie Wonder: dati gli anni in esame, chiaramente più Motown che Stax
(ormai al tramonto e alla chiusura per fallimento). Ma anche James Brown,
Isaac Hayes, Aretha Franklin, Sly & the Family Stone, Earth, Wind &
Fire, Funkadelic, Parliement, Public Enemy, Roots, Living Colour, Eryka
Badu, Miles Davis, Curtis Mayfield, Outkast, Tribe Called Quest, Bill
Withers. Significativamente trovano spazio e stima anche Police, Nirvana,
Tears for Fears, Mariah Carey (!), per citare alcuni dei più seguiti
dall’autore.
La sua abilità miscelatoria e rievocativa - passaggi da “un piatto all’altro“-,
è ammirevole, pur non sempre d’immediata comprensione, ma piena di humour
racconti e sorprese: anche la narrazione di una battaglia legale con
Rosa Parks (si, quella grande attivista che nel ‘55 rifiutò l’umiliante
cessione del posto a un bianco, in un autobus di Montgomery, Alabama),
per aver usato il suo nome in un disco degli Outkast. Battaglia iniziata
nel ‘98 e conclusasi nei primi Duemila, con gli eredi. Pur inciampando
in qualche valutazione non condivisibile, c’è da divertirsi e imparare,
forse anche cambiare opinione.