Savoy
Grand Burn
The Furniture
Glitterhouse 2002
Le fluttuanti, fragili melodie dei Savoy Grand ti avvolgono delicatamente
e non tentano minimamente di graffiare: ammalianti e letargici a seconda dei punti
di vista e dei diversi stati d'animo, si collocano in quella nutrita schiera di
incalliti amanti della depressione alternativa. Affondano le radici nel seminale
post-rock degli Slint, una formazione cardine dell'underground americano degli
anni novanta, prendono in prestito la malinconia perenne di Smog e Songs: Ohia,
rielaborando la materia con un gusto del minimale che ha del prodigioso. Non sono
per tutte le stagioni queste canzoni: la voce di Graham Langley (autore
di tutti i testi) sospira e sussurra, le chitarre ricamano sullo sfondo e tutto
si adagia su un tappeto di tastiere e batterie appena accennate che ti lasciano
sprofondare in una malinconia quasi dolce e confortevole. Ballate eteree (A
trained dog), squarci di elettricità e melodia improvvisi (Moonlit
e la splendida Face down in a fountain) , atmosfere notturne (la lunghissima
The mirror song) e a tratti quasi jazzate, con l'uso suggestivo della tromba
(Ian Sutton) per un esordio sulla lunga distanza (dopo l'ep di Dirty
Pillows del 2000) che mantiene tutte le entusiastiche promesse ravvisate
dalla stampa (Mojo e New Musical Express). Hanno padri musicali americani, ma
loro vengono da Nottingham, Inghilterra, e sembrano aver trovato una formula vincente:
quelli che potranno essere gli sviluppi futuri è difficile dirlo. Il sound
è assolutamente identificabile e sembra non lasciare troppi spazi di manovra,
sfiorando a volte una certa ripetitività, ma è inutile fare processi
alle intenzioni. Intanto culliamoci in questa beata tristezza post-rock. (Fabio
Cerbone) www.savoygrand.co.uk
|