Gillian
Welch The Harrow & The Harvest
[Acony
2011]
Un senso di incantata immobilità assale al primo ascolto di The
Harrow and the Harvest, disco agognato per otto lunghi anni che
sembra consegnarci una Gillian Welch chiusa in una teca, rapita
dalla sua anima folk più interegerrima. È difficile scalfire questa superficie
e non farsi guidare da un naturale istinto, lo stesso che vorrebbe la
cantautrice ferma sulle sue convinzioni: l'interminabile silenzio artistico
e la conseguente aspettativa, da parte di un publico Americana che l'ha
derintivamente consacrata ad ambascitrice del genere, confermano questa
impressione. Un'attesa che evidentemente rischia di giocare brutti scherzi,
soprattutto se si attendeva una progressione che già sembrava trapelare
frai solchi dell'interlocutorio Soul
Journey, album che rimandava infatti ad una nuova dimensione.
Non è arrivata, sono trascorse stagioni interminabili e oggi The Harrow
and the Harvest risulta persino provocatorio nella sua "chiusura" al tempo:
non un passo avanti, bensì due indietro, verso l'asciutto folk appalachiano,
le ballate scure e dense della tradizione, il suono acustico più scarno
e indifeso, che esalta la voce della Welch e gli incastri agli strumenti
a corda dell'inseparabile compagno David Rawlings.
Tutto già scritto, tutto (forse) già detto in Hell Among the Yearlings
e Time
(The Revelator), ormai punti fermi del moderno folk americano,
che intorno a questa musica ruotavano con un senso ciclico (e un po' mistico)
della vita e della musica. Eppure la sincerità di The Harrow and the Harvest,
il fatalismo delle sue storie, l'intersecarsi di mortalità, speranza,
desiderio e depressione (immancabile se finiamo nell'old time music) che
sbucano dalle parole come pietre di Gillian Welch non passano inosservate,
non sono affatto "un altro revival", uno dei tanti che sta vivendo l'american
music. Non sarà probabilmente il disco della consacrazione, semmai una
rilettura delle tematiche che da sempre nutrono i sogni di questa ragazza
d'altri tempi. Ciò nonostante The Harrow and the Harvest racchiude
ancora quel senso di mistero infinito che pone il suo contenuto fuori
da ogni contingenza: il ruvido incedere hillbilly di Scarlet
Town ci introduce in questo mondo di magia, fra sentimenti
di vendetta. Personaggi trascinati dagli eventi quelli della Welch, che
parla di amore e morte con una grazia che regge soltanto nella sua bocca,
senza trasformarsi in una messinscena: Dark
Turn of Mind resta in equilibrio fra dolcezza delle chitarre
e crudele ferocia delle parole, Hard Times
viene ancora dal passato ma si adatta incredibilmente ai nostri giorni,
mentre un trittico di brani che si aprono con "The Way" nel titolo (The
Way it Will Be, The Way it Goes,
la conclusiva The Way the Whole Thing Ends)
paiono sviluppare l'intera gamma di umori del disco, quasi una sintesi
che si dipana fra la ripresa del country più rurale e quelle eteree ballate
folk che nello scambio delle voci e delle chitarre fra la Welch e Rawlings
hanno impresso uno stile.
Non manca naturalmente la murder ballad di turno, una Silver
Dagger che attinge direttamente alla fonte della Carter Family, mentre
la dolcissima e ondeggiante Tennessee e assai
di più Down Along the Dixie Line evocano luoghi
e ricordi, immersi nella cultura e nelle immagini del Sud. Ritratti che necessitano
solamente di qualche contrappunto al banjo, oppure un'armonica sporadica (ad esempio
nella rustica, asciutta Six White Horses,
altra invocazione dei fantasmi della più pura hillbilly music) per acquisire una
forza quasi ancestrale. La musica di Gillian Welch è primitiva e non si pensi
ad una contraddizione con la grazia della sua interpretazione: basterebbe un vecchio
78 giri dell'epoca della Grande Depressione per cogliere questo contrasto. Certo
resta la sensazione (e forse anche il rammarico) di un'artista che non sente neppure
l'esigenza di uscire dal suo guscio folk, quasi si trattasse di una sfida: il
miracolo è che Gillian Welch riesce comunque ad apparire modernissima. (Fabio
Cerbone)