inserito 08/06/2011

The Webb Sisters
Savages
[
Proper 2011
]



Essendo conosciute al grande pubblico soprattutto in virtù della loro collaborazione con Leonard Cohen, che le ha volute come coriste durante i tour degli ultimi quattro anni, era anche logico aspettarsi che le sorelle britanniche Charley e Hattie Webb, in occasione del nuovo album a cinque anni di distanza dal precedente Daylight Crossing (ci sarebbe in realtà un ancor più stagionato Piece Of Mind, risalente al 2000, ma credo non lo ricordino neppure le interessate), sfruttassero in chiave discografica il prestigio del canadese. Non ci fosse stato lui, è lecito supporre che le Webb Sisters avrebbero sperimentato maggiori difficoltà nel reclutare il firmamento di strumentisti che illumina questo Savages: personaggi dello spessore di Jay Bellerose e Russ Kunkel (tamburi), Roscoe Beck (contrabbasso), Dean Parks (chitarre) o Leland Sklar (basso) sono abituati a presentare parcelle che nessun artista indipendente può permettersi. Eppure Cohen rappresenta, al tempo stesso, il limite più evidente dell'intero progetto, giacché l'apparire della sua voce (intenta a recitare dal vivo i versi della classica If It Be Your Will, poi interpretata dalla stesse Webb, in una curiosa parentesi del tutto slegata dal contesto dell'album) ha l'effetto, controproducente, di spazzare via in un battibaleno più o meno ogni restante dettaglio di Savages.

Che di suo, nonostante il gran sfoggio di featuring vari, nonostante l'eccellenza dei musicisti coinvolti, nonostante le indubbie qualità multi-strumentali delle intestatarie (entrambe bravissime nel destreggiarsi tra sei corde e tastiere, percussioni e pianoforte, mandolino e vibrafono), suona freddo e distaccato, talvolta incomprensibile e talvolta contrassegnato da scelte di pessimo gusto. Più che a un album compiuto, insomma, il disco assomiglia a un collage di singoli poco omogenei: alcuni brani - non c'è dubbio - colpiscono nel segno (penso in modo particolare al trascinante pop'n'roll ottantesco, quasi alla Stevie Nicks, della title-track e all'intenso gesto rootsy di una Burn che non avrebbe stonato tra gli ultimi lavori di Charlie Sexton), ma sembrano farlo per puro caso, ignari di qualsiasi criterio di congruenza rispetto al folk albionico di Words That Mobilise, agli orpelli gregoriani della tediocre Dark Sky, all'orripilante miscuglio di pop e classica di una Blue And You che per poco non si trasforma in un pezzo delle temibili Corrs. Gli altri pezzi, tutti levigati dalla patina deluxe della produzione di Peter Asher (in cabina di regia, in passato, per James Taylor, Linda Ronstadt e Bonnie Raitt, ma anche Olivia Newton-John e Kenny Loggins), non spiccano né per evidenti demeriti né per pregi manifesti.

Tuttavia, liquidare Savages ricorrendo alla formula del "senza infamia, senza lode" sarebbe fin troppo generoso. Dietro tutte le sue pantomime di genere si nasconde la supponente pretesa di decostruire codici e linguaggi tramite un virtuosismo esasperato, altezzoso e, in sostanza, freddo e pesante come il marmo: la tipica mistificazione di chi, non avendo alcunché da aggiungere, si limita a cercare il grado zero dell'espressione musicale - il folk-rock o la classica, il pop radiofonico o la canzone d'autore - senza una briciola d'amore o partecipazione. Ma se in questo disco non vi accorgete di nulla, non di uno scarto o di un sussulto, è solo perché, di fatto, non c'è nulla se non un'inquietante alone museale. Le canzoni, alla fine, scompaiono, relegate al rango di oggetti inanimati sullo sfondo. In primo piano ci sono pose e atteggiamenti: un po' poco, per farci un disco.
(Gianfranco Callieri)

www.thewebbsisters.com


   


<Credits>