Thurston
Moore Demolished Thoughts
[Matador/
Self 2011]
Uscito defitivamente dal guscio protettivo dei Sonic Youth, Thurston Moore
prende ancora più confidenza e coraggio, spostandosi dai segnali di indipendenza
lanciati con Trees
Outside the Academy verso la vera e propria illuminazione di Demolished
Thoughts, ad oggi il disco solista più originale e spiazzante della sua
carriera solitaria. Se il precedente sforzo mediava con tutte le eredità musicali
del musicista newyorkese e si atteneva a un suono crudo ed essenziale, pur sperimentando
con più libertà rispetto ai territori solcati dalla "gioventù sonica", l'attuale
condizione artistica di Moore pare avere tentato un taglio più netto, senza per
questo abbandonare uno stile, un linguaggio e in definitiva un songwriting riconoscibilissimi.
Il merito innegabile è da condividere con Beck, produttore e arrangiatore
che dalle intuizioni avviate nel suo Sea Change trasporta l'eleganza degli archi
e le finezze del pop d'autore dentro le ballate diafane che popolano Demolished
Thoughts.
Il matromonio è riuscitissimo, anche se richiede una disposizione
al sogno, lasciandosi abbandonare in melodie sempre un po' sospese e "imperfette",
che non rinunciano, seppure in una veste acustica, morbida, quasi impalpabile,
ai contorni tipici delle composizioni di Thuston Moore. Erompe così un folk cameristico
dove alle chitarre del protagonista e alla sua voce sospirata si affiancano il
violino di Samara Lubelski, le leggere percussioni di Joey Waronker, persino un'arpa
(Mary Lattimore), ma soprattutto le stratificazioni continue degli archi, che
Beck cerca con insistenza di alternare agli accordi di Moore, quasi riproponendo
la classicità del binomio Robert Kirby-Nick Drake, inevitabile raffronto.
Questa
trama rappresenta il limite e il pregio del disco, che apparirà forse monocorde
nel suo sviluppo, ma una volta domato esploderà proprio nelle sue ambientazioni
distese, che hanno nella cantilenante Benediction,
dai frammenti quasi folk blues, e ancora di più nelle successive Illuminine
e Circulation il loro manifesto di intenti,
un triade di trasparente bellezza, in fondo perpetrata sotto diverse declinazioni
lungo l'intero Demolished Thoughts. Costituiscono una sorta di canovaccio, sul
quale Moore si inerisce portando a libero sfogo la sua scrittura: accade nelle
lunghe "suite" Blood Never Lies e Mina
Loy, sette minuti circa in entrambi i casi dove abbondanti introduzioni
chitarristiche si dischiudono al suono d'insieme, creando una specie di psichedelia
folk raffinata dove il lascito dei Sonic Youth, l'impronta evidente del passato
(il riff che sottende Orchard Street e ancora
la minacciosa Space) si scioglie in qualcosa
di più indecifrabile. Tutto concorre a rendere Demolished Thoughts opera dal fascino
quasi fuori tempo massimo, monilite a sé stante. (Fabio Cerbone)