inserito 01/02/2011

Social Distortion
Hard Times and Nursery Rhymes
[
Epitaph/ Self  
2011]



Sgombrato il campo da ogni equivoco, i Social Distortion nella versione aggiornata al 2011 sono una rock'n'roll band che insegue la stella polare di un suono classico, mainstream rock da strada e soprattutto da barricata che si colora persino di influssi sudisti (provate con California (Hustle and Flow) e la sua coralità da Sud bollente, dove pare di sentire addirittura i Georgia Satellites!), uscendo allo scoperto con l'album più "addomesticato" e tradizionale della loro travagliata carriera. Non lo si prenda però per un presunto, improponibile tradimento, ne tanto meno per una caduta di stile: soltanto i sordi potevano ancora pensare di relegare la creatura del delinquente Mike Ness (è rimasto soltanto lui a fare da timoniere, con una line up nuovamente rivoluzionata e l'ingresso del giovane David Hidalgo Jr. - proprio il figlio di… - alla batteria) nella pantomima di una punk band californiana.

In Hard Times And Nursery Rhymes scorre la passione e l'iconografia che da sempre cova sotto le ceneri delle chitarre spianate: ci sono ancora le setlle polari di Hank Williams (soprattutto lui, grazie anche alla versione tesa e tagliente di Alone and Forsaken) e Johnny Cash, ci sono l'America della periferia e l'immaginario dei perdenti di ogni latitudine, ci sono i teppisti e i ribelli senza causa tanto cari a Ness (e lui ne è il primo testimone), c'è soprattutto un rock'n'roll che sa parlare la lingua della strada (Can't Take It with You, entusiasmante a dir poco nella sua voce punk soul) senza apparire per forza di cose banale e rimasticato. Certamente Hard Times And Nursery Rhymes non ha l'impatto frontale, veemente di White Light White Heat White Trash, ne tanto meno raggiunge la magnifica sintesi di quel Sex, Love and Rock'n'roll, che a tutt'oggi sembra ancora il loro punto di maturazione più invidiabile, eppure ripercorrendo i temi cari alla poetica un po' eversiva e "malavitosa" di Mike Ness, si prende gioco di se stesso, conducendo i Social Distortion in quella terra di nessuno (oggi più che mai) dove il rock'n'roll ha ancora voglia di suonare plateale, chiassoso e romantico.

D'altronde come potrebbe essere altrimenti per un disco che apre le danze con uno strumentale tuonante e minaccioso intitolato Road Zombie. Siamo ancora in viaggio dunque e il bello dei Social Distortion è proprio l'idea che si rimettano in carreggiata soltanto quando hanno veramente qualcosa da dire e da dimostrare: un lavoro ogni sei/ sette anni, anche di più, mai per "essere presenti", semmai per risvegliare le coscienze di chi li ha sempre visti come una nota scomoda, duri e puri anche nella loro ingenuità. E la copertina degna di John Steinbeck è la migliore istantanea della band in questo 2011: vecchia America un po' malandata, da nuova depressione, rivista però con il gain dell'amplificatore girato sul 10, come se le Dust Bowls di Woody Guthrie potessero improvvisamente infondersi di elettricità, tanto da fa nascere, letteralmente, Diamond in the Rough, o da ricordare, appunto, i "tempi duri" in Bakersfield. Prendere o lasciare, i Social Distortion sono sempre gli stessi in fondo, e una nota di Gimme That Sweet and Lowdown o della riottosa Machine Gun Blues basta e avanza per farceli amare anche in questa veste più saggia. Still Alive insomma, come canta Ness nel finale: e se lo dice lui, che ne ha viste passare di cotte e di crude sotto i suoi occhi, possiamo fidarci.
(Fabio Cerbone)


www.socialdistortion.com
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