Over
the Rhine
The Long Surrender
[Great
Speckled Bird
2011]
Segno
dei tempi musicali che stiamo vivendo - in totale subbuglio, anche un po' barbari,
ma se non altro imprevedibili - il nuovo lavoro degli Over The Rhine ha
dovuto pazientemente raccogliere il soccorso (soprattutto economico, si intende)
dei molti fan per vedere la luce. Un destino infame che una band di questa levatura
non meriterebbe certamente, ma che alla fine sembra essersi presa la rivincita,
sfoderando quella indipendenza artistica necessaria per librare ogni pulsione
compositiva. The Long Surrender è infatti l'esito miracoloso di
un impegno negli studi casalinghi di Joe Henry, produttore e deus ex machina
di questa raccolta singolare nella stessa carriera degli Over The Rhine: album
di ambiente folk ed eleganza pop jazz, di esplosioni gospel e sinuose ritmiche,
ruba i segreti migliori della recente arte di Henry e li applica alla bellezza
cristallina delle melodie del piano di Linford Detweiler, ma soprattutto alla
carica sentimentale della voce di Karin Bergquist, vera e propria regina
delle registrazioni.
È lei più che mai al centro di queste canzoni, accentuata
nella trascinante passione interpretativa - quella che già avevamo imparato a
conoscere in piccoli dischi di culto quali Ohio o Drunkard's Prayer - eppure oggi
esaltata dalle tonalità notturne e soffuse che Henry ha saputo costruire insieme
ad un manipolo di fidatissimi musicisti: con la sezione ritmica in mano a Jay
Bellerose e David Piltch, qualche rintocco di tromba e gli abbellimenti degli
strumenti a corda di Greg Leisz siamo letteralmente catapultati in paradiso. Canzoni
trascendenti, anche nelle tematiche dei testi, toni malinconici, paesaggi dell'anima
che si riversano in una sequenza di ballate con dettagli minuziosi: la musica
degli Over the Rhine non cambia pelle ma senz'altro si fa più austera e raffinata,
forse abbandonando quella matrice folk di partenza per cui furono frettolosamente
catalogati al fianco degli amici Cowboy Junkies, ma nel contempo partendo dalle
certezze di The Laugh Of Recognition, un ponte
lanciato verso il passato per non spiazzare in partenza, muovendosi nella celestiale
spirale di Rave On o fra il guanto jazzy di
Soon. Karin Bergquist, come anticipato, è
la stella incontrastata, la voce per eccellenza: delicata, stentorea, addomesticata
e imprevedibile negli scoppi di intensa passione, sfugge fra inaspettati alti
e bassi seguendo le curve dei brani.
Se il delicato tocco pianistico del
compagno Detweiler la tiene per mano in Sharpest Blade
e la trasporta in paradiso attraverso il pathos incredibile di Infamous
Love Songs, Henry e la band innalzano intorno a lei una casa accogliente
dove ogni nota acquista un senso che possa, grazie a pochissime pennellate, condurre
al centro dell'intepretazione. Suggestive le gradazioni spiritual che abbelliscono
una "tragica" Only God Can Save Us Now, più
sangiugne e sensuali quelle che uniscono black music e un coro in odore di soul
in The King Knows How, nell'insieme l'anima
"nera" del disco che converge infine in quelle ballate, sospese fra pop e jazz
da ore tarde, qui rappresentate dalla lunga All My Favorite
People e dalla malinconica There's A Bluebird
In My Heart, quest'ultima fortemente marchiata dal gusto di Joe Henry.
Non si pensi tuttavia che la personalità degi Over the Rhine si annulli totalmente
nella produzione o fra i contributi dei collaboratori: la dolcissima carezza di
Oh Yeah By The Way è tutta farina del loro
sacco, mentre la filastrocca acustica di Undamned
chiama in causa l'ospite Lucinda Williams in un rimpallo di voci e sofferenza
che la,bisce i territori della canzone Americana. The Long Surrender risulta così
non come una deviazione dalla strada principale degli Over the Rhine, semmai come
una paziente ricostruzione del loro stile e certamente come il loro album più
definito in termini di suono. (Fabio Cerbone)