Daniel
Martin Moore In the Cool of the Day
[Sub
Pop 2011]
Se si dice gospel, i più pensano a una liturgia corale in qualche chiesa
di Harlem: predicatori dalle lunghe tuniche, coreografici call & response. Ma
non andrebbe dimenticato che esiste una lunga tradizione di musica religiosa anche
nel folk bianco rurale, un retaggio che si è incrociato più volte con i percorsi
del country urbano (anche prima di I Saw the Light di "papà" Hank) e che in alcune
realtà rappresenta ancora oggi un importante background di identità comunitaria.
Così quando Daniel Martin Moore, nato e cresciuto nel Kentucky profondo,
ha poggiato le dita sui tasti di un vecchio piano Steinway nello studio di una
radio di Cincinnati, l'effetto è stato quello di un proustiano "assaggio di madeleine".
Alla ricerca del tempo perduto della sua infanzia, delle canzoni che la madre
cantava quand'era bambino o sentite intonare durante il culto domenicale, ha dato
forma all'idea di rileggere alcuni spiritual della tradizione, sia bianca (Dark
Road, dei menestrelli itineranti Grayson e Whittier, la title-track,
recuperata dal repertorio della regina della mountain music Jean Ritchie), sia
nera (Up Above My Head, hit del 1948 di Sister
Rosetta Tharpe), sia di entrambe (l'inno metodista In
the Garden).
Interpretazioni allestite senza rigore filologico,
ma solo seguendo il filo della memoria, tentando di allacciarlo a una ricerca
di spiritualità che, invece, appare esigenza presente e non nostalgica. Moore
si è preso ampie libertà, spostando, aggiungendo e sottraendo versi alle liriche
originali e arrangiando le composizioni in uno stile più intimo che corale, vicino
all'estetica dimessa del folk contemporaneo, cercando però di lasciare intatta
la carica comunicativa essenzialmente gioiosa e positiva (Dio è amore, no?). C'è
anche riuscito, merito di una voce che gioca con le sfumature e di una tavolozza
di suoni che, privilegiando i colori primari, li mescola con gusto e si concede
qualche gradazione imprevista (i toni da piccolo combo jazz che affiorano qua
e là). Lo aiutano il percussionista e polistrumentista Daniel Joseph Dorff e il
fratello Earl D. Moore al piano, più altri, tra cui riconosciamo il banjo di Jim
James dei My Morning Jacket.
Per allungare il brodo e arrivare a una
durata da vecchio LP, intorno alla mezz'ora di musica, Moore ha anche aggiunto
quattro composizioni originali, di ispirazione affine. E che, a onor del vero,
non sfigurano nell'insieme (con una predilezione per Set
Things Alright). Un po' alla volta cominciamo a capire cosa abbiano
visto i tipi della Sub Pop in questo folksinger sbucato fuori dal grande nulla
della provincia americana. Il primo disco (Stray Age) non si distingueva
dalla pletora di produzioni similari, ma già il successivo, del 2010, registrato
in coppia con il violoncellista Ben Sollee (altro nome da tenere d'occhio, presente
anche in questo progetto), seduceva per la libera semplicità con cui elaborava
i linguaggi del folk e del bluegrass. In the Cool of the Day, pur
nella natura sui generis, non possiamo che accoglierlo come una nuova, gradita
conferma di un talento in fieri. Amen. (Yuri Susanna)