Jason
Isbell & The 400 Unit Here We Rest
[Lightning
Rod/ Blue Rose
2011]
Scegliendo
di intitolare il nuovo disco con il primo motto dello stato dell'Alabama, pronunciato
nel 1842 dal procuratore generale Alexander Beaufort Meek, Jason Isbell
sembra essere sceso definitivamente a patti con la sua storia, con quelle radici
musicali che hanno formato l'autore e il chitarrista in quel di Muscle Shoals
e Florence, comunità conosciute nel mondo per essere il cuore pulsante della rivoluzione
rhythm'n'blues e country soul. Di questi linguaggi, e di una naturale propensione
al suono Americana più tradizionale, è intriso Here We Rest, lavoro
che pare concludere un entusiasmante percorso di maturazione, lo stesso che ha
condotto Isbell dai primi timidi approcci di Sirens
of the Ditch, l'album del coraggioso distacco dall'avventura
con i Drive-By Truckers, alla autorevolezza con la quale domina oggi il suo songwriting.
Confermato
il sodalizio con The 400 Unit (Derry deBorja, piano, Browan Lollar, chitarre,
Chad Gamble, tamburi, Jimbo Hart, basso) combo dal gusto sudista speziato ed elegante
a seconda delle necessità, Here We Rest trasforma il cammino del recente passato
in qualcosa di più personale: è un disco infatti più contenuto negli umori, spesso
adagiato su sonorità acustiche e rootsy, dando spazio a malinconiche ballate dove
il marchio soul della terra dell'Alabama si intreccia con le fondamenta bianche
del musicista, compenetrando elementi country, folk e naturalmente sobbalzi elettrici.
Un bilanciamento perfetto che si combina con il tocco melodico dell'interprete
e soprattutto il tenore delle liriche, oggi più che mai volte alla riflessione
e all'inquietudine: il tono dark di questi racconti - che hai suoi poli di attrazione
nella commovente apertura di Alabama
Pines, attraversata da un palpabile senso di solitudine, e nel
finale di Tour of Duty, storia di un ritorno
a casa dell'ennesimo soldato chiamato a servire dalla patria - è figlio di una
tradizione che lo avvicina ai vecchi compagni dei Drive-By Truckers. In questa
occasione però Jason Isbell supera le ombre del passato e diventa più credibile
del vago omaggio southern soul offerto da Patterson Hood e soci in Go-Go
Boots: sentitevi nel caso la leggiadria di We've
Met e la fragile dolcezza in Save It For Sunday,
storie di ordinaria esclusione, confessioni che Isbell ha colto ascoltando gli
effetti della crisi in mezzo alla sua gente, traducendola in una forma di ballata
mai così equilibrata.
Il cuore soul di Here We Rest è qui da sentire e
non ci sono concorrenti che tengano: Heart On a String
rispesca persino una vecchia hit della reginetta Candi Staton dandole
un vestito sgargiante, degno della tradizione di casa Muscle Shoals, mentre Never
Could Believe concede un po' di corda al calore delle chitarre slide,
fermandosi dalle parti dei Little Feat più infervorati. Rappresentano gli episodi
più "roventi" del disco, insieme alla sola forza southern rock di
Go It Alone (che conserva però l'accento agrodolce dell'interprete),
poiché oggi l'intento di Isbell sembra essere quello di placare la rabbia e mettersi
all'ascolto: soltanto così si spiegano gli umori country rurali di Codeine,
oppure una esangue Daisy Mae per sola voce
e acustica, e ancora la citata Tour of Duty,
che abbassa il sipario con un docile sussultare del mandolino in chiave roots,
rimandando alle recenti collaborazioni di Isbell con Justin Townes Earle. Mostrando
di saper dominare con onestà e persino una certa parsimonia di suoni e parole
la sua vicenda di uomo e musicista, Jason Isbell reclama finalmente un posto d'onore
tra le voci della provincia rock americana. (Fabio Cerbone)