inserito 27/10/2011

Wil Hoge
Number Seven
[
Rykodisc  
2011]



Non sappiamo se il numero sette porterà fortuna a Will Hoge e soprattutto se la sua natura di artista sia così scaramanticca da credere alla cabala, di fatto Number Seven sembra dirci "ci sono riuscito", un altro traguardo di una carriera che finalmente pare avere trovato una certa stabilità, non solo discografica. Ribadito il sodalizio in casa Ryko e grazie ad un parterre ricchissimo di musicisti di quella Nashville divisa tra Americana e rock'n'roll, Hoge rinsalda il suo spirito e cura ogni dettaglio fra southern rock, canto soul e energia blue collar, mettendo in pratica un riassunto delle tappe precedenti. Da Draw the Curtains a The Wreckage fino al qui presente Number Seven si distende infatti una linea di continuità che porta oggi il rocker del Tennessee a lavorare con mestiere sulle canzoni, esaltando anche le potenzialità radiofoniche e i ganci pop della sua scrittura, senza mai scadere dentro quel recinto di banalità che popola certo suono mainstream americano. Di fatto è ancora un figlio del Sud il nostro Will, con un accento country sotto le braci del rock'n'roll e di una voce potente e nera, quella che resta la sua arma migliore per trascinarci in undici episodi di onestissima e febbricitante american music.

Mancherà sempre quella zampata di originalità e genio che lo costringe viceversa a giocare la parte dell'eterno outsider, ma non ci si può non commuovere di fronte al calore memphisiano dei fiati sprigionato nel finale di When I Get My Wings, lasciarsi rotolare nella polvere western di Silver Chain e stringersi nel sentimentalismo sudista (il soul, sempre lui, è qualcosa che ti trovi addosso quasi per nascita) di Trying to Be a Man, almeno di non avere un cuore di pietra. La differenza non è rappresentata tuttavia da scossoni elettrici, gli stessi che nel recente passato erano forse soltanto stati meno efficaci: in Number Seven tuonano ancora le chitarre e si gonfiano le voci, a cominciare dall'apertura con Fool's Gonna Fly e Too Old to Die Young. Semmai è la scrittura di Hoge a farsi un poco più personale e persino amara: la profonda ballata American Dream ha un taglio inedito e la dura The Illegal Line, con chitarre che mollano fendenti, fa anche meglio nel suo tratteggiare con semplicità l'orizzonte aspro dell'immigrazione clandestina negli States.

L'altra faccia è invece quella di un disco che non disdegna mai una strizzatina d'occhio alla melodia accattivante, al coralità di un country rock dal timbro stradaiolo (No Man's Land la più ruspante del lotto): Goddam California potrebbe finire dalle parti di certo suono texano contemporaneo (leggasi "Red Dirt"), Gone è un singolo facile facile e sin troppo scaltro, mentre Nothing to Lose riassesta il tutto con quella ariosa intonazione che fa tanto Tom Petty periodo Into the Great Wide Open. Parecchi dejà vù insomma, ma anche una sicurezza se andate cercando gli ultimi romantici del rock'n'roll ancora in circolazione. Will Hoge rientra nella categoria e anche con un certo orgoglio: ad un pizzico di originalità ci penseremo la prossima volta.
(Fabio Cerbone)

www.willhoge.com


  


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