Cody
Canada & The Departed This Is Indian Land
[Blue
Rose 2011]
Ripartire da zero per Cody Canada significa ritornare sui passi della
sua terra natale, l'Oklahoma, li dove tutto è cominciato una quindicina di anni
fa alla conquista del mercato country rock texano con i suoi Cross Canadian Ragweed.
La band di punta del cosiddetto movimento "Red Dirt", circuito di band,
etichette, locali che ha rinvigorito il genere (e il relativo mercato) nell'ultimo
decennio, ha annunciato un rompete le righe molto doloroso per i numerosi fan
proprio nei mesi scorsi. Canada non è rimasto però alla finestra, ma si
è subito rimesso al lavoro concependo un mezzo disco solista, in condivisione
con The Departed, gruppo formato insieme all'ex compagno Jeremy Plato al
basso, alle chitarre di Seth james, alle tastiere di Steve Littleton e alla batteria
di Dave Bowen (in studio si aggiungono diversi altri ospiti). Una formazione subito
più versatile dei CCR, meno arcigna nel suono e lontana dall'hard rock che spesso
alimentava la musica di Cody Canada, anche se le distanze stilistiche non sono
naturalmente abissali. Quello che davvero contraddistingue This is Indian
Land, esordio già accolto con tutti i favori dalle charts di settore Americana,
è la sua scaletta formata interamente da cover di autori che hanno forgiato il
nostro protagonista come musicista negli anni giovanili.
Ecco dunque scorrere
un lungo elenco di canzoni appartenute e firmate da Tom Skinner, Bob Childers,
Greg Jacobs, Kevin Welch, tutti songwriter essenziali per la diffusione del suono
Red Dirt, alla conquista di Nashville. A queste figure, che hanno svolto una sorta
di ruolo di padrini per lo stesso Cody Canada, si sono quindi aggiunte vere e
proprie icone dello stato, come il JJ Cale di If You're
Ever in Oklahoma e il Leon Russell di Home
Sweet Oklahoma, due dichiarazioni di affetto per la terra d'origine
che parlano chiaro sulla natura di questo progetto discografico. L'esito mi pare
si possa dichiarare mediamente riuscito, seppure penalizzato da una lunghezza
eccessiva (diciotto tracce in tutto per quasi settanta minuti di musica, compresi
alcuni brevi parlati di raccordo, in cui intervengono voci amiche) un punto di
partenza però che andrà sviluppato e soprattutto confermato da successive uscite
di materiale autografo. Qui possiamo giudicare positivamente, come in qualche
modo anticipato, gli obiettivi di Canada di avvicinarsi maggiormente alle radici
country, proponendo il sound acustico e roots di Make
Yourself Home e quello rustico, country blues di Water
Your Own Yard, o ancora l'intima A Little Rain Will Do e la citata
If You're Ever in Oklahoma, marcata da un
arrangiamento di organo che ricorda molto lo stile originale di JJ Cale.
Ciò
non significa che siano state abbandonate del tutto le fondamenta rock del musicista,
anche se i momenti più deboli del disco sono proprio le sfuriate alla Face
on mars, la funkeggiante True Love Never Dies,
una swingata Kicking in Amsterdam cantata
in coppia con l'autore Kevin Welch (veramente di scarso gusto il suono della chitarra
solista...) o quelle ballate elettriche che strizzano l'occhio ai vecchi sostenitori
(Home Sweet Oklahoma, Years
in Making, Skyline Radio, la più
mainstream e potenziale singolo). Episodi anche genericamente gradevoli ma troppo
prevedibili, che convincono davvero soltanto quando The Departed prendono
la via del Sud: Staring Down The Sun è infatti
una ballad epica che evoca i Lynyrd Skynyrd del modello Simple Man, mentre la
successiva Any Other way, con quella introduzione
del piano, rimanda ai cugini dell'Allman Brothers Band. Luci e ombre quindi, ma
un punto di ripartenza, di nuovo sulla strada. (Davide Albini)