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Bocephus
King
Willie Dixon God Damn!
[Tonic
2011]

Risorgimento! È scontato - lo so - usare questa parola nel giorno in cui
si celebrano i 150 anni dal giorno in cui, nel 1861, Vittorio Emanuele proclamò
il Regno d'Italia. Ma passare il 17 marzo ascoltando Willie Dixon God Damn!,
ritorno a sorpresa del canadese Bocephus King (al secolo Jamie Perry) dopo
sette anni di latitanza del mercato discografico, è stato lo stesso un gran bel
modo di festeggiare. In fondo, sempre di rinascita, di rinnovamento si tratta.
Lo sa anche l'interessato, oggi ripulito da tutte le droghe e gli eccessi che
ne avevano accidentato il percorso artistico e umano: l'iniziale The
Beast You Are, difatti, non è altro che un'umile ammissione di colpe,
peccati e debolezze ("Parli come San Francesco, ma non riesci a mollare quella
buona merda", con ovvio riferimento all'eroina), enunciata con la serenità e lo
stupito candore di chi, avendone passate di tutti i colori, si scopre determinato
a sopravvivere e riesce infine a guardare indietro, con un pizzico di umana tolleranza,
all'infinità di errori commessi, alla lotta quotidiana "con le bestie che siamo".
Bocephus King si guarda alle spalle, com'è inevitabile che sia, e guarda
avanti, confezionando un disco che, senza raggiungere i livelli del folgorante
A Small Good Thing (1998) che lo fece conoscere alle nostre latitudini, può essere
considerato la traduzione riuscita e coerente del febbrile disordine creativo
riversato senza alcuna disciplina nell'irrisolto All Children Believe In Heaven:
un disco organico e intenso, impegnativo (più di un'ora di musica) ed appassionato.
Willie Dixon God Damn! formula il proprio omaggio all'arte che rischia, e di riflesso
agli artisti capaci di rischiare qualsiasi cosa (come la Nina Simone che in Your
Great Big Beautiful Heart viene ringraziata per tutto il "sangue" irrorato
nella sua musica), attraverso un'atmosfera confessionale mai debordante nel narcisismo
o nel compiacimento del reduce.
"Tutta la poesia mediocre", diceva Oscar
Wilde, "è sincera", ma estrarre una valida operazione estetica dalla radiografia
di demoni e sconfitte personali è impresa (difficilissima) che Bocephus King affronta
con strepitosa ispirazione. Dal folk-rock rutilante di The
Myth Of Philadelphia al delizioso affresco dixieland di una So
Many Hells il cui finale, in una splendida intersezione tra gospel
e una babele linguistica di voci, risate di bambini e squillare di pedal-steel,
esprime un mondo intero di serenità interiore, ogni minuto di Willie Dixon God
Damn! suona prezioso e magnetico. Stupendo è il panorama acustico di una The
Epiphany Of The Saints dove la sei corde sembra affidata al tocco lirico
e virtuoso di Pierre Bensusan (e sono ballate come questa a ricordarci
quanto debba, il flow malinconico e folkie di Bocephus, al miglior Van Morrison),
ma meritano almeno una citazione anche i ritmi sudafricani di
The Job, l'incantevole fragranza melodica dell'up-tempo per fiati della
lunga Bastards, la cantilena western di Just
As Long As You Arrive, il contrabbasso jazzy dell'incalzante That's
Not Love, la scenografia percussiva (compare persino una darbuka) dell'esplosiva
title-track.
Willie Dixon God Damn! è qualcosa in più di un (ottimo) disco,
qualcosa in più di una (graditissima) ricomparsa: il suo trasporto e la sua densità
di contenuti rappresentano l'esempio probante di come si possano trasformare il
vuoto, il malessere degli anni sbagliati, gli errori e gli orrori, senza peraltro
rinnegarli o ignorarli, in rinnovata certezza. Perché anche in fondo al buio più
fitto e angosciante, dopotutto, si può tornare a guardar le stelle. (Gianfranco
Callieri) www.bocephusking.ca www.myspace.com/bocephusking
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