È
un'opera di sottile nostalgia American Goldwing e come tale sembra
affiancarsi con naturalezza alle numerose riscoperte di suoni e immaginari che
stanno popolando il giovane rock americano del 2011. Fermarsi però al semplice
dato superficiale sarebbe non riconoscere la rapida e costante maturazione dei
Blitzen Trapper in un ensemble che del rock'n'roll agita ogni pulsione
e a furia di flashback esce allo scoperto con una sintesi personale. Immediata
è la sensazione che il nuovo disco della band di Portland sia il più tradizionalista
della loro carriera: il guazzabuglio di sapori settanteschi che animava il precedente
Destroyer
of the Void oggi è meno frastagliato e una certa eterogeneità
per cui il gruppo andava giustamente elogiato si è tradotta adesso in un vocabolario
rock dal forte accento rurale, stracolmo di fragranze country e blues, con l'invadente
supporto dell'armonica, della steel guitar e in generale di canzoni dalla forma
Americana, come siamo abituati a descrivere oggi. Qualcuno li condannerà in un
limbo per questo motivo: troppo classici per ammaliare gli habitué della Sub Pop
e di una generazione "indie" a tutti i costi, forse troppo spiazzanti anche per
il pubblico avvezzo ai linguaggi della roots music.
Di fatto American
Goldwing è un disco irreprensibile con i suoi intenti, oltre che pieno di ottime
e semplici intuizioni, di chitarre che echeggiano una stagione lontana, accodato
ad un certo rinascimento classic rock che ha visto protagonisti di recente Delta
Spirit, Dawes o Deer Tick. Le motivazioni di questo leggero scostamento di rotta
le spiega lo stesso Eric Earley, autore principale in seno alla band, il
quale evoca nelle composizioni di American Goldwing l'infanzia, il suo "piccolo
mondo" provinciale, l'eterna battaglia fra campagna e città, fra paesaggio urbano
e natura dentro il grande spazio americano. Un album di fotografie dunque, a cominciare
da quel modello di motocicletta Honda Goldwing che il fratellastro portò in casa
un giorno e sotto le cui ruote ci finì per gioco lo stesso Earley, ferendosi alla
gamba. Da qui si sono generate le sensazioni della title track, ballata con un
taglio sudista e sole californiano in faccia, di una cadenzata e dolcissima My
Home Town, country rock che porta addosso l'odore dei seventies lontano
un miglio. I Blitzen Trapper hanno deciso insomma che se un tuffo nella propria
memoria doveva essere, allora avrebbe richiesto una radiografia completa dei suoni
con cui i singoli musicisti erano cresciuti.
E così ti ritrovi sotto lo
stesso tetto - conferma quest'ultima che il gruppo non si è addomesticato del
tutto - il southern svolazzante di Fletcher,
che mette insieme rock confederato e lo Steve Miller più gigione, i lustrini glam
e boogie degni di Marc Bolan in Your Crying Eyes,
una Girl in a Coat folkie e intimamente elegiaca,
per finire con le rasoiate hard rock degne di power trio (tra Mountain e James
Gang, giusto per evocare altre sbiadite cartoline dai 70) di Street
Fighting Sun. Il lavorio del quotato Tchad Blake al mixaggio,
con la co-produzione del vecchio collaboratore Gregg Williams, sancisce infine
le intenzioni dei Blitzen Trapper di addentrarsi sempre più nella loro operazione
di rilettura del passato: riescono a non perdere la loro modernità in Love
the Way You Walk Away, ballata bucolica che sfrutta voci e stratificazione
degli arrangiamenti, mentre Erik Menteer e Marty Marquis rimestano la soffitta
tirando fuori chitarrine acustiche, banjo, organi, piani elettrici, disegnando
i panorami roots del disco con la coperta soul di Astronaut
e la placida serenità agreste di Taking It Easy Too Long,
facendo un sol boccone delle visioni di Gram Parsons e della Band. Per molti resteranno
pure dei buoni imitatori, ma che dischi "imperfetti" e variopinti continuano a
sfornare! (Fabio Cerbone)