Per
qualcuno una follia, per Richard Thompson probabilmente soltanto un rischio
calcolato, un altro passo in avanti per dimostrare la sua insaziabile vena compositiva:
tredici canzoni inedite, oltre settanta minuti di musica e il tutto registrato
dal vivo, senza accorgimenti di sorta, durante un tour americano sulla West Coast
nella primavera del 2010. Dream Attic è un azzardo che esce trionfatore
unicamente grazie alla qualità stessa delle canzoni, le quali, infatti, offerte
nella loro versione più scarna e acustica in un secondo cd (edizione deluxe limitata)
mostrano la struttura solida proprio nella veste di demo (solo chitarra e voci):
come a ribadire l'essenzialità della loro più profonda comunicazione. È quasi
un gioco da ragazzi dunque immaginare di costruirvi intorno quello che poi diventerà
il cuore pulsante delle otto serate americane (materiale in gran parte, a detta
dello stesso Thompson, colto negli ultimi tre show alla Great American Music Hall
di San Francisco): una provocazione, ovvio, perché qui non vi è nulla di scontato,
a cominciare da un artista che dopo quaranta e passa anni di carriera sembra non
volersi sedere, semmai affrontare ancora di petto il suo lascito al folk rock
moderno con un vigore e una freschezza invidiabili.
Dream Attic arriva
infatti dopo un cofanetto restrospettivo, Walking on a Wire, che offriva l'idea
di un autore arrivato, compiuto. Thompson invece lo mette da parte e pensa già
alla prossima mossa: consapevole delle sue conquiste certo, nulla aggiungendo
a quanto già si apprezzava della sua scrittura, eppure mostrando nella trascinante
elettricità rock'n'roll di Haul Me Up e Bad
Again, nelle inaspettate aperture pop di Big
Sun Falling in the River, nella scintillante lezione folk rock di The
Money Shuffle (sarcastico j'accuse alla Wall Street moderna che con
la sua finanza creativa ha infanganto il mondo), Here
Comes Geordie e Demons in Her Dancing Shoes
qualcosa che ancora andava ribadito. Uguale a se stesso insomma, ma mai prevedibile:
è l'arte dei fuoriclasse e Richard Thompson è sia a livello di songwriting sia
a livello strumentale in una forma smagliante lungo l'intero svolgimento di Dream
Attic. Pochissimi giorni per prepararsi, qualche idea spedita al volo ai musicisti,
e la band arriva immacolata alla prova dei fatti: Pete Zorn (strepitoso polistrumentista
diviso fra chitarre, sax, mandolino e flauto), Joel Zifkin (violino), Taras Prodanuik
(basso, già alla corte di Lucinda Williams) e Michael Jerome (batteria, una vera
forza della natura per incisivitià a gusto) hanno una tale esperienza penserete
voi, che non è neppure da mettere in dubbio la loro capacità di afferrare al volo
il senso ultimo di queste canzoni.
E invece non è assolutamente semplice
seguire le dinamiche di Thompson: nella cupa Crimescene
ad esempio, discesa negli inferi del proprio animo che scoppia in un finale chitarristico
sconvolgente e senza fiato, o ancora la lunga "murder ballad", storia
torbida e affascinante, Sidney Wells, giga
rock impazzita che aggiorna il british folk rock di un tempo con una forza inedita.
Necessita di apertura mentale e dedizione un progetto simile e i musicisti sembrano
averne colto l'urgenza: Thompson era interessato ad una operazione di trasparenza
nei confronti di queste canzoni, come se volesse metterle alla prova senza indugio.
"Perdi accuratezza ma guadagni in energia, perdi la possibilità di scelta ma guadagni
immediatezza" afferma Richard Thompson della registrazione live: impossibile dargli
torto e se anche questi brani si dilatano, come è giusto che sia per un disco
dal vivo, non si ha mai la sensazione che si perdano da qualche parte senza costrutto:
semmai quelli più ammantati dalle tonalità folk tradizionali (l'eterea Among
the Gorse, Among the Grey, la dolce Stumble
On, e ancora Burning man, la dedica
ad una amico scomparso di A Brother Slips Away)
rivelano la loro intima sostanza con maggiore precisione nella versione scarnificata
presente sul bonus disc di demo, non smarrendo affatto la loro potenza nel passaggio.
Un altro bersaglio centrato mr. Thompson. (Fabio Cerbone)