South
Memphis String Band
Home Sweet Home
[Memphis
Int'nl
2010]
"Se non vi piace questa roba, c'è davvero qualcosa che non va in voi":
il buon Jim Dickinson non si è mai fatto sentire tanto da quando purtroppo ci
ha lasciato lo scorso anno. E sono ancora le sue parole, schiette e semplici quanto
il personaggio, a benedire questo progetto nato dalla semplice voglia di condividere
un immaginario, una fede, in definitiva un patrimonio da non disperdere. La South
Memphis String Band è un'orchestrina acustica che cela le identità di Luther
Dickinson, il figlio che ha raccolto con ardore gli insegnamenti del padre,
Alvin Youngblood Hart, un omone grande e grosso ed uno dei bluesman più
spiritati della sua generazione, e Jimbo Mathus, sorta di "reinessance
man" come lo chiamerebbero dalle sue parti, sempre pronto a scavare fra i
segreti della musica americana. Senza trucchi e senza inganni si sono riuniti
intorno a qualche microfono, hanno preso una risma di canzoni sgualcite che venissero
dall'anima pià antica di Memphis, fin giù verso il misterioso bacino del Mississippi,
e si sono divertiti a rivederle con il loro linguaggio.
Home Seet
Home è un disco facile, persino "banale" se vogliamo essere
provocatori: ci sono tre voci, un mandolino, qualche chitarra, un banjo, armonica
e kazoo all'occorrenza, ma il repertorio arriva tutto o quasi da nomi misteriosi
e affascinanti che si chiamano Gus Cannon, Blind Willie Johnson, The Mississippi
Sheiks, Memphis Jug band, Carter Family, insomma dagli angoli della Depressione
folk americana che abbiamo imparato a ripetere a memoria in questi anni. Non è
una novità allora, non lo è a maggior ragione per tre musicisti che di questa
conservazione e nuova linfa da inettare sul passato hanno fatto una ragione di
vita. Conoscendo però le carriere separate dei singoli musicisti, con North Mississippi
All Stars, Black Crowes, Squirrel Nut Zippers o da solisti sappiamo che la loro
opera tende a guardare nel prodonfo, a non galleggiare in superficie. Ecco perché
Home Sweet Home è uno dei dischi roots più spiritati visti passare dalle rive
del Mississippi di recente: emerge un clima di familairità e disarmante naturalezza
nelle riedizioni di Jesse James,
Deep Blue Sea, Let Your Light Shine on
Me e The Carrier Line, traditional
che non dovrebbero sfuggire a nessuno di voi, una musica arcana, spirituale e
persino sinistra in Things Is 'Bout Coming My Way
e Bloody Bill (straordinario Youngblood Hart
alla voce e banjo) che chiede solamente di non essere trascurata.
Il
lavoro paziente di Dickinson, Mathus e Hart è quello di impadronirisi della loro
terra attraverso l'anima delle canzoni: non è sbagliata dunque la definizione
di supergruppo roots regionale che gli vanno affibiando, se non fosse che qui
dello stardom e dei lustrini delle grandi collaborazioni non c'è proprio traccia.
Ci sono piuttosto tre amici che intonano un country blues intriso di spirito gospel,
che battono il tempo manco fossero in un campo di lavoro schiavista (Eighteen
Hammers), che improvvisano all'angolo di una strada di Memphis (Bootlegger's
Blues) o sotto il portico di casa loro all'imbrunire (Dixie
Darling). Giocano ad occhi chiusi certo, e probabilmente ci avranno
messo un pomeriggio a registrare tutto quanto, nei ritagli fra un disco e un tour,
ma se qualcuno in giro riesce a mettere altrettanta "religiosità" in questa musica
allora si faccia avanti. Home Sweet Home: consideratelo un'appendice più spensierata
e affabile del recente Onward & Upward di Luther Dickinson. Il sapore selvatico
della terra sudista che scaturisce è lo stesso e chissà che non vi si apra un
intero universo. (Fabio Cerbone)