Il nome potrebbe far pensare ad un nuovo blue-collar rocker del New Jersey,
ma non ingannatevi, Jack Savoretti - al di là delle evidenti origini italiche
- è inglese, e per giunta scolasticamente cresciuto in Svizzera. Non ve lo vendiamo
come una "scoperta", quanto come una vera e propria sorpresa, perché fino ad oggi
la sua musica difficilmente avrebbe potuto incrociare le nostre strade. Scoperto
dallo scafato manager di Natalie Imbruglia con l'evidente speranza di farne un
nuovo James Blunt, il ventiduenne Jack ha goduto di produzioni di buon livello
fin dal suo primo disco (Between The Minds del 2007), video girati da bravi registi,
e soprattutto una lunga serie di brani utilizzati in film e serie tv di successo
(brani di questo disco si sono già ascoltati nei serial Grey's Anatomy e One Tree
Hill).
Ma evidentemente qualcosa di buono sta succedendo in quella parte
d'Inghilterra che sta studiando gli aspetti più gustosamente melodici del cantautorato
americano: l'ha dimostrato lo scorso anno il bellissimo disco di Howard Eliott
Payne, lo sta dimostrando nel mondo più mainstream il deciso passo avanti qualitativo
di Paolo Nutini, e ora arriva questo Harder Than Easy, programmatico
fin dal titolo nel voler distaccarsi dal mondo dell'easy-listening. Già edito
via web lo scorso anno, il cd esce nel gennaio 2010 con grandi e giustificate
speranze di far accettare il nome di Savoretti anche nel jet set della musica
che conta. E se Payne era volato negli States per affidarsi alle sapienti cure
di Ethan Johns, Savoretti si è impossessato degli studi di registrazione di Jackson
Browne, padrino artistico dell'operazione, che si è premurato di fargli trovare
musicisti del calibro di Charlie Gillingham e David Immergluck dei
Counting Crows o Larry Taylor e Steve Hodges della band di Tom Waits, e
tecnici di primo livello come Jack Joseph Puig e il produttore Rick Barraclough.
Il risultato è tutt'altro che rivoluzionario, sono "solo" 11 semplici,
dolci, e semi-acustiche ballate che stanno tra il Brett Dennen più ispirato, il
Joshua James più malinconico e il Ray Lamontagne meno evocativo. Ma valga come
esempio di stile la cover scelta ad impreziosire la scaletta, una
Northern Sky di Nick Drake fedele all'originale, quanto allo stesso
tempo molto personale, una sfida impossibile che Savoretti vince con grandi onori.
Quando invece esprime il suo, Savoretti è stato capace di calarsi benissimo nella
cultura americana, prima piangendone le tragedie e le contraddizioni (Lost
America), poi omaggiandone i padrini culturali (Russian
Roulette sta tra il folk del Greenwich Village e Like An Hurricane
di Neil Young). Jack con le parole non è certo un mago, affronta spesso temi sociali
e di attualità senza andare troppo a fondo (vedasi il singolo decisamente Van-Morrisoniano
Map Of The World) e affronta temi sentimentali
con quel pizzico di banalità poetica che serve a rendere Wonder
una perfetta folk-pop song da radio heavy rotation. Ma la title track, la struggente
Mother e il baldanzoso finale di Patriot
sono figlie di quella nobile arte fatta di sintesi e qualità che la musica della
West Coast aveva insegnato tanti anni fa. E nel 2010 anche i quattro versi in
croce di Songs From Different Times, assemblati
con tale finissima perizia, continuano a suonarci più che necessari. (Nicola
Gervasini)