Joe
Purdy
4th of July
[Mud
Town Crier Records 2010]
La critica più frequente rivolta a Joe Purdy è che ogni suo album
sembra una copia del precedente. Undici album in nove anni realizzati con tanta
passione e voglia di raccontare, di far ascoltare le proprie canzoni, di far sentire
la propria voce in giro per l'America con la chitarra come unica compagna, nella
vera tradizione folk. Lasciò in giovane età il North West Arkansas per la ricca
città degli angeli in cerca di fama e successo. L'ottenne in parte grazie a"Wash
Away" che fu inserita nella colonna sonora della serie Lost del 2004 (oltre a
due brani nella colonna sonora della serie Grey's Anatomy). Ha poi continuato
la sua personale strada registrando altri bellissimi dischi (tra cui l'ultimo
e intimo Last
Clock On the Wall) tutti rigorosamente "homemade" per la sua personale
etichetta. E' ora ritornato in Arkansas, nell'America profonda, quella da raccontare
e ben lontano da Hollywood, dal maistream e dalla chirurgia estetica. Con 4th
of July ha realizzato il suo personale "I See A Darkness" in solitario
registrando separatamente e suonando tutti gli strumenti coinvolti, dalla batteria
(appresa guardando un video di Levon Helm su You Tube) al basso fino alla lap-steel,
facendosi aiutare dalla brava Garrison Starr ai cori.
Le canzoni
rimangono dirette e semplici come i personaggi che vivono nei testi delle sue
canzoni. Il suo songwriting parla dei problemi della gente comune, di amore, degli
attuali tempi di crisi economica, della vita nelle smalltown della provincia americana
con grande poesia, passione e sentimento. L'album comincia con la bella Hard
Times e già si sente qualcosa di diverso. La voce ha acquisito più
profondità con evidenti tratti gospel, quasi soul, con Garrison ad accompagnarlo
dando l'impressione che si stia ascoltando un coro invece di un semplice duo.
Un pezzo di grande impatto iniziale e uno dei migliori della raccolta. L'attacco
di On The Wind è sussurrato con quell'intensa
voce avvolta dal suono dell'armonica molto "dylaniana" e con un ritornello che
ti lascia senza fiato. Diamond State è puro
folk rock con la chitarra elettrica dal riff minimale mentre Homesick
Blues è una ballata soffusa e disarmante con un bel assolo di armonica
sul finale. La contagiosa marcetta Kerosene
ti stupisce al primo assaggio grazie alla dolcezza della sua melodia intessuta
dalla chitarra appena accennata e da una sghemba batteria. The
Ballplayer è un' altra ballata intrisa di malinconia e tristezza con
il suono romantico del piano e Troubadour
è un altro capolavoro con una bellissima melodia che ricorda tanto i Kinks come
a Bonnie Prince Billy.
L'intermezzo pianistico della corta e intensa
Glory anticipa il gran finale di Angelina
(che è anche il nome della nave in copertina) un waltz con tanto di armonica e
steel guitar e la delicata e romantica title track con quell'andamento malinconico
e riflessivo che la fanno diventare una delle più belle canzoni scritte fin qui
dal nostro. Un album splendido per vecchi e nuovi fans e senza dubbio il suo migliore.
Certo può assomigliare al primo Dylan, ma nulla toglie alla bravura di Joe e alla
sua coerenza in tutto ciò che scrive e canta. Un'altra grande prova Joe. (Emilio Mera)