inserito 07/05/2010

Anders Osborne
American Patchwork
[
Alligator  2010
]



L'American Patchwork di Anders Osborne è un puzzle umano ridotto in mille pezzi, la vita di un musicista e di un uomo che ha visto ridotti in cenere i suoi sogni, la sua cominità e quella città, New Orleans, che lo aveva adottato a metà degli anni ottanta da giovane immigrato svedese in cerca di fortuna, dentro quello che lui crede ancora sia il sogno americano. Il nuovo contratto con la Alligator si trascina dietro un cambiamento significativo, simboleggiato anche esteriormente da quella figura randagia, barbuta che emerge dalla copertina. Osborne sembra mettere anche esteticamente una distanza dalla liricità e dall'afflato soul che mostrava in Coming Down, l'album dalle tinte "vanmorrisoniane" con cui lo avevamo lasciato soltanto tre anni fa. American Patchwork prende ben altra direzione: è un disco che recupera la vitalità del rock, i fremiti del blues e li unisce in un lavoro elettrico, pulsante, estremamente istintivo. Per qualcuno è già l'opera che meglio sintetizza le due anime del musicista, mediando come ai tempi di Ash Wednesday Blues fra il songwriter acustico sudista e il chitarrista elettrico dal tocco assassino.

Mi permetto di dissentire, anche perché è evidente sin dalle prime note della livida On the Road to Charlie Parker e nella successiva Echoes of My Sins quanto American Patchwork abbia voglia di alzare il volume, persino nelle ballate, grazie ad un suono più diretto, roccioso, per quanto festaiolo. La collaborazione con Stanton Moore (co-produttore e titolare della batteria) porta in seno una band ridotta all'osso, dove scompaiono dalla vista i fiati e le pulsoni r&b per fare spazio ad una New Orleans più swamp rock e paludosa, dove le chitarre di Osborne e le tastiere di Robert Walter formano un combo più asciutto e serrato. Non necessariamente un difetto, anche se le sfumature del citato Ash Wednesday Blues (e ancor di più dello splendido Living Room) sono un lontano ricordo. Osborne è chiamato a esorcizzare i suoi fantasmi, personali e collettivi, alternando amare confessioni come nell'iniziale On the Road to Charlie Parker (la strada è quella della dipendenza, si sarà capito…) a dure sferzate che si traducono un rock'n'roll magmatico, anche un poco confuso se vogliamo, figlio del blues e del funky (Killing Each Other) a tratti dai toni hendrixiani e con uno slidin' feroce (Darkness at the Bottom, Love Is Taking Its Toll).

A fare da contraltare alcune luminose ballate che ritornano sui passi di inizio carriera, dentro un sound più "pop" in senso lato (Call On me chiude con una dedica a Jackson Browne e all'amato sound della West Coast), cercando di addolcire il clima e aprirsi un varco verso la speranza: è il caso di una leggera Got Your Heart, dagli inediti tratti caraibici e reggea, e ancora di Standing with Angels e Meet Me in New Mexico, tra le canzoni più immediate scritte da Anders Osborne in carriera. Nonostante tutto non reggono però la perfezione raggiunta in passato, qui forse solamente necessarie a blandire con una carezza l'autore stesso: American Patchwork diventa allora un disco assai personale, messaggero forse di ulteriori sviluppi.
(Fabio Cerbone)

www.andersosborne.com
www.myspace.com/andersosbornenola



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