Spirito fragile e libero che sembra uscire da un tempo in cui parole, poesia
e folk music avevano una sola direzione sulla quale incamminarsi, Mark Olson
non esce dal suo piccolo mondo, dalle sue scarmigliate melodie acustiche che appaiono
sempre così gracili, sincere, anche a costo di presentarsi, oggi più che mai,
in una veste dimessa. Many Colored Kite poteva a tutti gli effetti
scompaginare le carte di una carriera che anche nel nostalgico diversivo con Gary
Louris (l'interessante, ma in parte sprecato incontro di Ready
for the Flood) era parsa ancorata ad alcune granitiche certezze, ad
una forma di ballata folk che nel suo crogiolarsi fra malinconia, intimismo e
echi di tiepida bellezza sixties non usciva mai dal tracciato che Olson si era
imposto dopo il rompete le righe con i Jayhawks. Questa storia non cambierà di
una virgola neppure con il nuovo corso, rappresentato da un album che non possiede
certo l'inquietudine di Salvation
Blues, ad oggi il suo lavoro più personale e intenso, ma ne segue il
tracciato musicale con qualche raro sconfinamento negli arrangiamenti, forse leggeremente
più eccentrici a causa della presenza di Beau Raymond (Devendra banhart tra i
progetti curati) in cabina di regia.
Di fatto, valicato lo scintillio
folk rock di Little Bird of Freedom, che apre
le danze con un brio quasi degno degli anni giovanili, Many Colored Kite si muove
su un terreno di introspezione che ha reso Mark Olson un solitario e pregevole
cantore dell'animo umano, oggi accresciuto da un afflato spirituale più insistente.
Il contorno tuttavia è lo stesso e se il citato Salvation Blues possedeva la forza
delle opere aristiche un po' "tragiche" e tormentate (l'uscita dalla lunga, commovente
storia d'amore con Victoria Williams), collezione di canzoni nata per esorcizzare
il dolore, Many Colored Kite è soltanto un normale raccolto di brani che dal tono
confessionale di Morining Dove, dalla coralità
della stessa title track (al disco prestano la voce come ospiti Vashti Bunyan
e Jolie Holland), dall'ennesimo brillare folk elettrificato in
Bluebell Song, tende strada facendo a chiudersi in una serie di certezze
che sono anche il volto di un autore forse un po' più affaticato del previsto.
In sé niente affatto inopportuni, gli archi che cullano e gonfiano di
armonia Beehive, Kingsnake
e la più melodiosa Your Life Beside Us (c'è
l'amico italiano Michele Gazich a curarne i tenui intrecci), o ancora le dolci
percussioni che attraversano una delicata No Time to
Live Without Her e il pizzicare quasi pop di Wind
& Rain, sono nell'insieme soluzioni pregevoli che nascondono però canzoni
un poco precarie, a lungo andare monotone in quel ostinato recinto di fragili
emozioni che accompagna il canto di Olson. Il disco ne risente e vorremmo a momenti
riavere il ragazzo innamorato del country ascoltato di recente nella ristampa
dell'omonimo Jayhawks, o per lo meno lo stravagante e un po' hippie cantore alla
guida della nutrita combriccola degli Original Harmony Ridge Creek Dippers. (Fabio Cerbone)