Old
97's The Grand Theatre Volume One
[New
West 2010]
Più volte ci siamo trovati a ribadire il fatto che gli Old 97's siano
rimasti una delle ultime propaggini in circolazione di quella nidiata storica
finita sotto il nome di "alternative country". Loro e i Bottle Rockets
sembrano portare, da sponde stilistiche affini e diverse al tempo stesso, il vessillo
di un genere-non genere ormai declinato sotto i mille rivoli dell'Americana, come
piace oggi delimitarlo. Qui invece pulsa ancora il cuore della vecchia guardia
e di un modo di rivoltare la canzone country (ma non solo) con tonnellate di energia
elettrica e valvole arrostite. L'ottavo album ufficiale della band texana è l'ennesima
rinascita, il come back prevedebile che si fa attendere tra una pausa e l'altra
dalla carriera solista (in verità mai decollata e mai così entusiasmante) del
leader Rhett Miller. Proprio lui sembra incarnare il simbolo di questa
piccola tenace rock'n'roll band: belloccio e giovanile come se il tempo non lo
avesse mai scalfito, guida un gruppo di scalmanati che con il tempo hanno imparato
il mestiere. Non avranno più la sfrontatezza adolescenziale degli anni d'oro in
casa Bloodshot, eppure questo The Grand Theatre Volume One (che
lascia presagire evidentemente un secondo capitolo, già annunciato per il 2011)
è la rimpatriata migliore dai tempi di Satellite Rides e Too Far to Care, in defintiva
l'album più speziato e divertente di una discografia che recentemete aveva risentito
di una inevitabile stanchezza.
In fondo potrebbe subire le medesime accuse
anche The Grand Theatre Volume One - e non manca chi lo ha già fatto notare in
sede critica sulla stampa americana - eppure, tirate le somme di questi dodici
nuovi brani, la sensazione è che l'incisione live (la pre-produzione si è svolta
in casa, a Dallas, e anche le tracce base sono state catturate dal vivo con l'amico
Salim Nourallah) abbia ridato freschezza e audacia al rock'n'roll degli Old 97's,
ancora capaci di mettere insieme country rock sbuffante (The
Magician, la dedica alla propria terra di A
State Of Texas), rasoiate garage punk (Every
Night Is Friday Night (Without You)) e melodie rubate alla migliore
british invasion (You Smoke Too Much). Linguaggi
musicali che restano il faro del songwriting di Rhett Miller e Murry Hammond,
principali istrioni di una band che ha avuto altresì la fortuna di non cambiare
mai line-up, sempre rimpolpata dalle chitarre pungenti di Ken Betteha e dai tamburi
di Philip Peeples.
Sentiteli passare dagli echi western di You
Were Born To Be In Battle, epica quanto il migliore Johnny Cash d'annata,
alla vivace Please Hold On While The Train Is Moving,
quintessenza del loro modo di intendere una ballata rock. Niente di nuovo sotto
il sole, ma è pur vero che i riverberi soffusi di una ballata del tenore di The
Beauty Marks non uscivano dal loro cilindro da parecchio tempo ormai,
e qui sembrano ridare fiducia all'amore della band per certo pop sixties. Se non
bastasse la chicca per intenditori si chiama Champaign,
Illinois, personale rielaborazione di Rhett Miller della Desolation
Row che fu di Bob Dylan. Non vale l'originale, e non potrebbe essere altrimenti,
ma sfodera il passo giusto con un'esuberanza elettrica coinvolgente e pare inoltre
che sia piaciuta anche al "maestro" Bob, che l'ha benedetta approvandone le nuove
liriche e firmandola a quattro mani (…vecchia volpe). (Fabio Cerbone)