Whitey
Morgan & The 78's Whitey Morgan & The 78's
[Bloodshot
2010]
Mettete tranquillamente in coda il nome di Whitey Morgan a quello
di Jamey Johnson: la rinascita di certo country fuorilegge passa anche dalle parti
di Flint, Michigan, small town da cui proviene Morgan, tra i "nuovi tradizionalisti"
americani. Fino ad oggi ricordavo il nome di Flint per via del famoso regista
di documentari Micheal Moore, originario di queste parti: America profonda e depressa,
con le fabbriche che chiudono e il lavoro che manca, pensando anche al grande
indotto dell'industria dell'auto nella vicina Detroit. Whitey Morgan and the 78's
cantano dunque della working class dimenticata, secondo la migliore scuola del
country rock, di frustrazioni e tristi storie senza via di uscita, con un suono
ruspante ed elettrico, figlio naturalmente di Waylon Jennings (il principale punto
di paragone, anche per le inflessioni della voce di Morgan) e di Merle Haggard,
giusto per citare due indistruttibili capisaldi dle genere. Hanno fatto il loro
esordio nel 2008 con il promettente Honky Tonks and Cheap Motels, aprendo per
Shooter Jennings, Hank III, Dale Watson, Lynyrd Skynryd e altri grossi calibri,
ma questo omonimo lavoro, che segna peraltro il passaggio verso l'etichetta Bloodshot,
sarà forse quello che li collocherà in prima fila fra i custodi della purezza
country nel 2010.
Il confronto con Johnson non è campato per aria dunque,
e basterebbe il sound robusto di Bad News
oppure quello incalzante di Buick
City, che ci rispediscono dritti alle stesse influenze, magari
con una produzione più "low budget", ma con la stessa competenza. Country music
verace, per cuori duri e romantici, che possiede la giusta alternanza di brani
veloci e ballate spezzacuori: le chitarre di Ben Vermeylen sono proprio la spezia
che ci vuole per la voce baritonale di Whitey Morgan, il quale di suo ci mette
un'interpretazione da manuale, anche nei lentacci ad effetto come Memories
Cost A Lot e Cheaters Always Lose.
In questi brani il punto di confronto è rappresentato naturalmente da George Jones,
altro eroe indiscusso dell'America country più proletaria: entrano nella partita
una vivace pedal steel, oltre al fiddle di Tamineh Gueramy, così l'honky tonk
vola libero in Meanest Jukebox in Town, un
piccolo classico che sembra uscire dalla Nashville dorata dei primi 60s, mentre
Honky Tonk Queen è un titolo che dice già
tutto.
Non manca nulla fra gli ingredienti di Whitey Morgan and
the 78's per attirare le attenzioni dei più tradizionalisti fra noi, ma
se, come il vostro recensore, avete un debole per i cambi di ritmo, il classico
suono outlaw, spaccone ed elettrico, allora non resisterete a lungo alla mistura
di rock'n'roll e honky tonk di Hard Scratch Pride
e I Ain't Drunk, che sembrano davvero degli
inediti di Jennings rimasti nel cassetto per quarant'anni. Qui la band gira a
mille (completano Jeremy Mackinder e Mike Popovich alla sezione ritmica, rispettivamente
basso e batteria), dandoci il saluto finale con la scura, epica western song Long
Road Home. Si, è stato un lungo viaggo verso casa, ma Whitey
Morgan and the 78's ci hanno scortato con mano sicura. (Davide Albini)