Ci vuole una buona dose di incoscienza (e anche qualche idea che vada oltre
l'ordinario) per imbastire un'opera folk del tenore di Hadestown,
disco più che mai corale sul quale la firma di Anaïs Mitchell appare
piuttosto come quella di una direttrice di orchestra, un punto di riferimento
artistico attorno al quale costruire una "compagnia" di voci, musicisti e folksinger
che la seguano nell'impresa titanica. È veramente un disco sorprendente il nuovo
episodio della cantautrice del Vermont per la Righteous Babe, l'etichetta della
sua indiscussa madrina Ani Di Franco, a suo tempo rapita da Hymns for the Exiled
(2004), tanto da proporre alla Mitchell di entrare a far parte della sua scuderia.
Voce stridula, innocenza da bambina e profondità letteraria di una ragazza cresciuta
per le strade del mondo, Anais Mitchell mette in scena una tragedia moderna, trasponendo
il mito greco di Orfeo e Eurdice nell'America della "Nuova Depressione" e non
solo, in un mondo diviso, incomprensibile e corrotto dall'avidità degli
speculatori, fra gente sempre più povera. Un obiettivo temerario che approccia
il pericoloso universo del concept album, trovando invece una via di fuga nella
sua coralità: difficile, come si accennava, ascriverlo ai meriti della sola Mitchell,
che si ritaglia il ruolo di Euridice e riunisce una comitiva di artisti per interpretare
i singoi ruoli della narrazione, lasciando campo aperto.
Hadestown si
trasforma così in un progetto fuori del comune per i nostri tempi: c'è immaginazione,
profondità, preparazione lungo un percorso di venti episodi che richiede soprattutto
attenzione, disponibilità all'ascolto e alla riflessione. Non è comoda e immediata
la sua proposta, ma neppure pedante: i colori folk di Hadestown sono spesso cangianti,
caleidoscopici, giocano con la tradizione e mischiano le facce dell'american music
sporcandosi le mani con i linguaggi del pop più sofisticato, del country, del
jazz, persino trascinato fra musical (Doubt Comes In)
e fantasie vaudeville, ragtime e dixieland (Way Down
Hadestown, When the Chips Are Down,
Our Lady of the Underground). Concepita originariamente
nel 2006 insieme al direttore Ben t. Matchstick e all'arrangiatore Michael Chorney,
messa in scena l'anno successivo con un cast di attori locali per un tour partito
dal Vermont e poi lungo tutto il New England, Hadestown ha subito nel corso del
tempo una rivistazione da parte della stessa Mitchell: alcune canzoni sono state
corrette e riscritte fino a trovare la chiave per rileggere il mito nella modernità.
Nell'originale leggenda Orfeo viaggia nel mondo dell'oltretomba, dominato dal
Dio Ade e dalla moglie Persefone, per ritrovare l'amata musa Euridice, uccisa
dal morso di un serpente. Il viaggio lo metterà alla prova, costringendolo ad
un patto con Ade: dovrà uscire dagli Inferi senza mai voltarsi indietro per scorgere
il volto di Euridice, ma l'accordo sarà irrimediabilmente rotto.
Oggi
Hadestown è invece una cittadina attraversata dalle tempeste della crisi economica
e dalle ingiustizie del mondo, che cerca in tutti i modi di "chiudersi"
e "proteggersi": Greg Brown interpreta un Ade minaccioso (sentitelo
rantolare dall'oscurità in Hey, Little Songbird e
nella strepitosa Why We Build the Wall), a
capo di una compagnia di costruzioni impegnata nell'erigere un muro (reale e immaginario)
per scacciare la povertà; Ani Di Franco è la moglie Persefone, più malleabile
e affascinata dal canto di Orfeo (un Justin Vernon aka Bon Iver che rapisce
con la sua fragilità indie folk, soprattutto nei due episodi di Epic),
accompagnato infine dall'amico Hermes (Ben Knox Miller dei The Low Anthem). Un
cast di partecipanti (a cui si aggiungono gruppi vocali in diverse declinazioni
e musicisti quali Rich Hinman, Brandon Seabrook, Jonathan Goldberger e il citato
Michael Chorney) che riesce nel miracolo di mantenere l'equilibrio fra contenuto
musicale e significato allegorico: merito di una Mitchell-Euridice sognante e
candida - dall'afflato di Wedding Song e Flowers
(Eurydice's Song) alla chiusura sussurrata con
I Raise My Cup to Him - nella sua interpretazione. Tra i dischi
più "imprudenti" eppure meno pretenziosi sentiti di recente. (Fabio Cerbone)