inserito 22/02/2010

Midlake
The Courage of Others
[Bella Union
 2010
]



Era montato adagio il clamore intorno al secondo disco dei Midlake, una fascinazione che ha ghermito più di un cuore, posizionandolo in alto in molte classifiche di fine anno. Era il 2006. Ora il terzo lavoro (quello difficile, com'è noto) giunge fatalmente come una delle uscite più attese di questo spicchio di 2010. Cosa ha aggiunto lo iato di quasi quattro anni al suono del gruppo di Denton, Texas? Più che aggiunto, ha tolto qualcosa. Se The Trials of Van Occupanther era un disco autunnale, The Courage of Others emana in qualche modo una luce invernale: la tavolozza è ridotta alle tinte più opache, mancano quelle cavalcate elettriche che facevano pensare a Neil Young, ed è stato quasi abbandonato l'uso dell'idioma indie contemporaneo, che poneva i Midlake nel calderone di un suono Americana che in realtà non è il loro principale orizzonte di riferimento. Ne resta giusto un'ombra nel nervosismo elettrico di Children of the Ground e nella ballata che intitola il disco, fatta della stessa pasta di quelle di Bonnie Prince Billy.

Manca anche un singolo da traino come Roscoe, ma non è necessariamente un male. Questo è un album organico (monolitico, direbbero i maligni o quelli con poca pazienza - vedi il 3,6 (!) che gli ha affibbiato Pitchfork), intriso delle nebbie delle brughiere e dei colori di stagioni lontane. E' il folk-rock inglese di quarant'anni fa, verso cui il leader Tim Smith non nasconde la sua profonda ammirazione, che troviamo riletto in queste 11 canzoni: Nick Drake, i Fotheringay. Anche i Jethro Tull, depurati delle pesantezze hard-prog (sentite le carole tra chitarre elettriche e flauto in Small Mountain e The Horn). La voce di Smith conosce bene le tonalità più umbratili, è un lamento che sale dalle brume della terra gelata dall'inverno. Descritta così, la musica dei Midlake sembra un'improbabile collisione tra Morrisey e i Fairport Convention… e non siamo poi troppo lontani dal vero. Forse non è un passo avanti, questo disco. Ma neanche un passo indietro: semmai l'esplorazione di un lato del proprio animo musicale. Chissà, la prossima volta magari ci regaleranno un disco solare ed estivo.

Per il momento questi texani atipici, che non devono avere mai indossato uno Stetson in vita loro, mostrano di prendersi molto sul serio - dopotutto sono diplomati al North Texas College of Music: omaggiano il quattrocentesco pittore russo Andrej Rublev (citato nella pretenziosa - e anche un po' kitsch - copertina) e guardano all'Europa e ai suoi antichi valori come la terra promessa che salverà la civiltà occidentale dalla decadenza (e da MTV, secondo le dichiarazioni di Smith). Noi, al di qua dell'Atlantico, rimaniamo un po' scettici ma ci lasciamo rapire da queste melodie pastorali fuori del tempo, da queste fantasie preindustriali, dalla circolarità ipnotica degli arpeggi, dalle armonie a piedi nudi nell'erba di Fortune, dalla malia della voce che ci invita a lascarli entrare ("Oh let me inside, let me inside, not to wake", chiede Acts of Man), fino al crescendo drammatico di In the Ground, che si placa in una apparente quiete pastorale. I barbari sono venuti a salvarci? Non sarebbe neanche la prima volta.
(Yuri Susanna)

www.midlake.net
www.myspace.com/midlake



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