inserito 15/03/2010

Richard McGraw
Burying the Dead
[
Non Utopian  2010
]



A volte album come questo ti incantano, ti trasmettono qualcosa di magico e di sincero fino a commuoverti e farti piangere, dando una grande voglia di riascoltarlo. Negli Usa è già chiamato il figlio illegittimo di Leonard Cohen e qui in Europa è un perfetto sconosciuto. Originario di Brooklyn Richard McGraw è già alla sua terza prova sulla lunga distanza. Dovrebbe essere già famoso come Will Oldham (Bonnie Prince Billy) o Conor Oberst, invece preferisce scrivere canzoni e poesie lavorando ai margini del business come un vero Loser o come un semplice "singer of the room". E' proprio l'intimità dell'album e la grazia dei testi a far amare questo songwriter. Anche se il vero punto di riferimento rimane il poeta canadese sia per l'azzeccata cover di The Faith da Dear Heather del 2004 e la riscrizione di Chelsea Hotel#2 convertita in Balmville Motel (altro Motel maledetto) veramente commovente. Ppenserei anche a un Townes Van Zandt moltiplicato per Micah P. Hinson e diviso per Elvis Perkins, anch'egli di New York. E dal suo sito tra le sue fonti ispiratrici figura persino il nostro Fabrizio De André.

E proprio a reclamare questa rinascita del cantautorato della Grande Mela, insieme a una spiccata figura del poeta maledetto, che Richard Mc Graw prende le sue mosse. Nelle sue canzoni Richard parla di sofferenza di perdita di cari ed amici e di mortalità con una vena molto romantica e spirituale a volte quasi religiosa. Si parte da That old song che sembra uscire dal cassetto di Elvis Perkins per passare a My Life cover di Billy Joel, stravolta e spogliata dalle velleità strumentali e arricchita da un coro da brivido, a Hunting Heart con una melodia accattivante e un arrangiamento azzeccato.

E che dire della spiritualità di On Our Knees, con un mandolino in sottofondo da pelle d'oca e una voce tanto intensa quanto profonda che quasi ricorda il primo Willie Nile, o infine del pathos creato nell'intensa Ashville e della melodia di Young Men, che ti cattura fin dai primi ascolti. Si finisce con la ballata apocalittica di Her Town e con l'indimenticabile Grace, brano arrichito da una tastiera che sembra un organo. I brani sono tutti belli ed intensi e bisogna fare girare il disco per intero al fine di apprezzarlo fino in fondo. Lasciamo che la sua musica parli da sola. Un gioiello da conservare con cura e un nuovo poeta metropolitano.
(Emilio Mera)

www.myspace.com/richardmcgraw
www.cdbaby.com



<Credits>