Jim
Lauderdale
Patchwork River
[Skycrunch/Thirty
Tigers 2010]
Ammetto di avere sentimenti contrastanti per Jim Lauderdale. Se dovessi
infatti elencare i grandi nomi del country più classico degli ultimi anni, prima
o poi mi verrebbe da citarlo, ma poi sarebbe difficile scegliere un titolo da
consigliare vivamente nella sua discografia. Lui non è uomo da capolavori o grossi
colpi di scena, è solo un artigiano della canzone di Nashville che pubblica regolarmente
album più che discreti, riuscendo a trovare il tempo di registrarli tra le mille
collaborazioni cui è chiamato, e questa continua stima da parte del mondo della
musica resta forse la sua credenziale più forte. Ora Patchwork River
mi arriva in aiuto, perché pur conservando il suo tipico marchio di fabbrica (che
resta sempre un po' troppo freddo e professionale per i nostri gusti), è un disco
del tutto inedito per le sue corde, e in fin dei conti uno dei più riusciti della
sua carriera. La sua prima mossa importante è stata quella di puntare sulla scrittura,
assoldando per i testi nientemeno che il divin Robert Hunter dei Grateful Dead,
orfano da tempo di un Garcia con cui scrivere grandi pagine di musica americana.
La seconda mossa è stata quella di far svoltare il suono decisamente verso il
soul, e quindi via libera al largo uso di fiati, voci femminili e quanto serve
per il genere.
Le due cose insieme ci hanno regalato piccoli gioiellini
come Good Together, che sembra davvero uscita
da un ipotetico disco dei Grateful Dead edito dalla Stax, ma quello che finalmente
piace di questo disco è che per la prima volta non si ha solo la sensazione di
divertirsi senza troppi pensieri, ma che il country-soul di Lousville
Roll, il mezzo swamp-blues di Alligator Alley
e soprattutto l'accoppiata iniziale di Patchwork River
e Jawbone (un blues da New Orleans con i fiocchi)
siano brani che riascolteremo volentieri anche fra qualche tempo e, questa volta
sì, possiamo consigliare ai nostri lettori più classicisti (che non vuol necessariamente
dire reazionari o retrogradi…). Peccato solo non aver saputo mantenere questo
buon standard per tutti i 50 minuti, causa qualche piccolo scivolone nel manierismo
(la soul ballad alla Curtys Mayfield Tall Eyes
non è proprio nelle sue corde, e Far in The Far Away
esagera anche troppo con lo zucchero).
Il suo country comunque c'è sempre,
nel divertente numero alla Shooter Jennings di Turn To
Stone o nella ballatona alla Rodney Crowell di Up
My Sleeve, ma non è davvero il piatto forte questa volta, tanto che
anche il duetto con Patty Griffin (Between Your
Heart And Mine) finisce quasi per sembrare un'intrusione non gradita.
Nel finale comunque il disco si riprende con Winnona
(provate ad immaginare David Bromberg che di si da all'hard-blues) e My
Lips Are Sealed. Non è davvero uomo da grandi dischi Lauderdale, e
anche Patchwork River ha troppi punti deboli per esserlo, ma ho dimenticato di
dire che in mezzo alla track-list troverete El Dorado,
ballatona alla Tony Joe White che fa davvero vibrare. Non so se sia un capolavoro,
ma questa la consiglio davvero. (Nicola Gervasini)