Pokey
LaFarge and The South City Three
Riverboat Soul
[Free
Dirt Records 2010]
Impossibile non farci caso: una delle direttrici che la roots music di questi
anni ha imboccato con fervida partecipazione è l'intero recupero del vecchio campionario
dell'old time, un amore a prima vista che ha sempre covato sotto le ceneri, eppure
oggi più di prima sembra avere travolto una miriade di piccole, giovani e irriverenti
realtà sparse sul territorio americano. Ce ne siamo accorti in tempo, forse persino
con un briciolo di ritardo lo ammettiamo, ma al fianco di un risorgimento country
blues che soffia forte dalle paludi del Mississippi (basta guardare a tutto quello
che ruota intorno alla famiglia Dickinson e al cosidetto "blues delle colline")
c'è tutta un'altra progenie di giovani ribelli bianchi che un poco più su, a Nashville
e fra le montagne della Virginia e le colline della Carolina, si diverte a rispolverare
le jug band, le orchestrine di strada, il country vagabondo di Jimmie Rodgers,
con ambientazioni rigorosamente acustiche e immacolate. Pokey Lafarge è
un vispo "ragazzino" con un cappello sui tre quarti che se ne esce - al terzo
lavoro ma il primo in totale codivisione con The Soul City Three - sull'onda dell'entusiasmo
per questi suoni: River Boat Soul è una delle feste d'aia più riuscite
dai tempi dell'esordio degli Old Crow Medicine Show, capostipiti del genere e
guarda caso coinvolti di striscio anche in questo album.
È infatti il
violino di Ketch Secor (uno dei fondatori dei citati OCMS) a stuzzicare
di tanto in tanto il suono rurale e vivace della band, partecipando alla sarabanda
di Won't Make Love at All, Bag
and Bones e al traditional Old Black Dog.
Armonica e kazoo fra le labbra, Pokey LaFarge conduce il suo combo in una rivisitazione
che non sa di semplice amarcord: i brani sono in gran parte originali, e questo
già depone a suo favore, ma l'elemento aggiunto è la capacità di piegare il genere
e i suoi luoghi topici alla modernità dei temi affrontati. Dalle montagne e dai
fiumi che echeggiano in questa canzoni, LaFarge arriva al suo presente, cantando
di amore e morte, universali come sempre e mai fuori moda, in La
La Blues, You Don't Want Me, Daffodil
Blues. La spinta ritmica di Joey Glynn (contrabasso) e Ryan "Church
Mouse" Koenig (percussioni e washboard) non è neppure da mettere in discussione,
tanto diventa centrale nella conduzione delle danze. Sentiteli ripassare In
the Jailhouse Now di Jimmie Rodgers, che loro dicono di avere appreso
dalla versione della leggendaria Memphis Jug Band, oppure capovolgere e tirare
per la giacchetta ragtime e country blues ante litteram in Hard
Times Come And Go e Migraines and Heartpains
Le scorribande old time della band hanno già conquistato il pubblico
inglese e non solo: di ritorno da una acclamata esibizione al Glasgow Ceiltc Connections
per Pokey LaFarge si sono spalancate le porte della BBC radio (lo show di Bob
Harris) e dell'intero circuito folk europeo, che li richiamerà la prossima estate
per un esteso tour: il fascino della vecchia America dispiega ancora le sue ali
e fin tanto che ci sarrano saltimbanchi del tenore di Pokey LaFarge e dei suoi
The Soul City Three il divertimento non mancherà di sicuro. (Fabio Cerbone)