inserito 22/02/2010

Will Kimbrough
Wings
[
Daphne music  
2010]



Songwriter, chitarrista, produttore e altro ancora, Will Kimbrough porta fiero il titolo di "reinessance man", sigla che solitamente viene scomodata per quegli artisti tanto influenti e stimati quanto completamente ignorati dal grande pubblico. Nell'altra Nashville, quella che sguazza da sempre ai margini fra canzone d'autore e Americana, Will Kimbrough è una vera e propria istituzione, una sorta di Re Mida che ha posto la firma su molte collaborazioni importanti: l'elenco è lungo e da Todd Snider a Rodney Crowell, da Jimmy Buffett a Billy Joe Shaver neppure così omogeneo come si potrebbe pensare. Il fatto che sia approdato al quinto lavoro solista nel plauso generale dei colleghi e della critica la dice lunga sulla qualità un po' defilata della sua musica, la quale resta un intelligente dimostrazione di scrittura tradizionale, senza eccedere in nostalgie e revival. Anche il qui presente Wings conferma infatti la regola di un songwriting superbamente intarsiato tra melodia pop, chitarre folk e spazzi di passione soul, le tre coordinate che muovono dagli inizi la voce e la penna di Will Kimbrough.

Oggi più che in passato la scelta di ridurre al minimo gli orpelli, di registrare fondamentalmente in acustico insieme alla sezione ritmica formata da Paul Griffith e Tim Marks, esalta i piccoli dettagli e le rifiniture di una serie di ballate che non hanno bisogno di lustrini. Wings - a partire proprio dalla title track scritta con Jimmy Buffett e inclusa nel recente Buffett Hotel in una versione più elettrica - è un disco che dispiega con pazienza il suo infinito charme: fra la leggerezza country di Three Angels e il commovente soul di Love to Spare Kimbrough afferma di essersi immerso in quel laid back sudista che appartiene di diritto a JJ Cale (evidente nello swamp indolente di It Ain't Cool, firmata insieme a Todd Snider), seppure qui declinato con quell'inconfondibile retrogusto pop che gli deriva dalla devozione, mai nascosta, per John Lennon.

Sono i punti cardinali dell'autore, nonostante oggi appaia più sommesso del previsto, impegnato dall'età matura a parlare di famiglia e responsabilità: sono distanti i colori sgargianti di album quali Americanitis e Home, tanto che You Can't Go Home rispolvera dalla soffitta un banjo e si dirige verso la campagna, mentre The Day of te Troubadour (secondo brano, come il precednete, scritto con l'apporto di Jeff Finlin) e Big Big Love si "accontentano" di poche misurate soluzioni, un organo in sottofondo, qualche coro femminile (al disco partecipano Julie Lee, Jonell Mosser, Dawn Kinnard fra le tante colleghe), la voce in primo piano. Un lavoro di sottrazione dunque, che funziona a patto di lasciarsi guidare un poco da questa dolce pigrizia sudista (Let me Be Your Frame) senza cercare particolari rivelazioni: alla fine basta il soffio dei fiati di Jim Hoke e Steve Herman in Open to Love per tirare fuori dal cilindro una magnifica ballata soul che da sola vale il prezzo del biglietto.
(Fabio Cerbone)

www.willkimbrough.com
www.myspace.com/willkimbroughmusic



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