La mossa è a suo modo spiazzante: chi si aspettava - dopo l'audace collaborazione
con alcuni dei più importanti nomi dell'hip hop contemporaneo nel progetto Blackroc
- una sorta di ulteriore "imbastardimento" della musica dei Black Keys
non si sbagliava di certo, nonostante Dan Auerbach e Patrick Carney abbiano fatto
un passo avanti per compierne due indietro. Ebbene si, neppure la fugace presenza
di Danger Mouse nella confezione del primo singolo estratto, Tighten
Up, può in sostanza far ritornare la band dell'Ohio (ormai newyorkesi
a tutti gli effetti, con uno studio, l'Easy Eye Sound System, tutto per loro)
sui passi di Attack
& Release, il disco in cui la ruggine delta blues degli esordi pareva
trasfigurarsi in un groviglio di ritmi funk e modernità. Brothers,
partendo dalla copertina così "sfacciata", diretta e persino semplicistica, sembra
volerci raccontare di un passaggio verso l'anima e l'essenza del songwriting del
duo: ecco allora che questo nuovo lavoro ha certamente più a che fare con il recente
Dan Auerbach solista di Keep it Hid che non con tutto il resto della loro recente
produzione.
È un po' come trovarsi per le mani il disco soul dei Black
Keys, senza tema di smentite grondante di quella passione che la band deve avere
respirato a pieni polmoni fra le mura degli storici Muscle Shoals in Alabama,
là dove l'album è stato concepito e forgiato. La sensazione di essere circondati
dalla storia e dal mito ha giocato un bello scherzo ai Black Keys, che hanno assorbito
quel clima declinandolo secondo il loro personale linguaggio: il produttore Mark
Neill e forse ancora di più l'essenziale lavoro di Tchad Blake in fase di missaggio
hanno puntellato con qualche rinforzo l'impalcatura, conservando l'aria umidiccia
e il groove sensuale di queste canzoni, che dal falsetto e dal boogie alla T Rex
di Everlasting Light agli strali blues psichedelici
di Next Girl e She's
Long Gone ci racconta di una musica che si è fatta ancora più vischiosa,
erotica, passando dal blues ancestrale di Junior Kimbrough degli esordi alla coscienza
soul di Curtis Mayfield. Non è un caso dunque che Dan Auerbach e Patrick Carney
abbiano scelto di interpretare il classico Never Gonna
Give You Up di Jerry Butler, il quale dall'avventura degli Impressions
con Mayfield partì in seguito per la sua carriera solista.
Tra le tante
meraviglie è la voce calda e tremendamente soulful di Auerbach ad uscire allo
scoperto con prepotenza: filtrata, mutata, portata all'acuto o ridotta ai minimi
termini, resta comunque un filo conduttore dell'intero Brothers, tanto quanto
le contagiose chitarre e i contorni di organo e mellotron che riempiono più che
in passato le sfumature e gli anfratti dei Black Keys. Non sarebbero mai spuntati
altrimenti autentici gioielli soul quali Too Afraid to
Love, I'm Not the One e la conclusiva
These Days, malinconie ostentate che in Ten
Cent Pistol (splendida per intensità questa storia di gelosia e vendetta)
e The Go Getter sembrano invocare il ritorno
dello spirito di Bobby Bland, persino flessuose moine del tenore di The
Only One, accompagnate sempre e comunque a quel serpeggiare di riff
e suoni rigorosamente eccitati ed eccitanti che qui corrispondono ai titoli di
Sinister Kid e Howlin'
for You. Tornati all'autarchia dopo le tante (forse troppe) collaborazioni
i Black Keys hanno reinventato il loro linguaggio conservandone l'anima, non è
roba da poco. (Fabio Cerbone)