inserito 13/09/2010

Jamey Johnson
The Guitar Song
[
Mercury/ Universal  2010
]



Attualmente la voce più autentica che bazzichi le strade lastricate d'oro della Nashville che conta, Jamey Johnson è un talento che alla country music mancava da diverso tempo: non credo di esagerare nell'affermare che si tratti di uno dei pochi personaggi in questi anni ad essere riuscito a traghettare la tradizione degli outlaw dei '70 verso la modernità senza perdere un briciolo di credibilità, mantendosi dentro il mainstream (il precedente That Lonesome Song ha raggiunto una considerevole cifra di vendite e raccolto consensi unanimi di pubblico e critica) non scendendo minimente a compromessi. Un disco come The Guitar Song, doppio album infarcito dalla bellezza di venticinque canzoni è in fondo la conferma di quanto sto scrivendo: carta bianca da parte dell'Universal per Johnson, che non si è fatto pregare e ha dato seguito alle ballate da fuorilegge del precedente album con una ciclo di canzoni ambizioso, dal taglio spesso autobiografico, scritte pricipalmente in tour e registrate in diversi studi fra Los angeles, Nashville e la Florida, dividendo idealmente il tutto in due capitoli intitolati "Black" e "White".

La prima parte, come si può facilmente intuire, assume tonalità più cupe, sia nei testi che nella musica, evidenziando un contrasto fra l'artista e il peso del successo, per crescere poi in brillantezza nella seconda "facciata", fino ad abbracciare temi molto personali, spesso legati alla fede e alla redenzione. Detto questo, il mood generale dell'album resta invariato per l'intera durata: country rock robusto, honky tonk, ballate strappalacrime e altri episodi dal sound più rurale, in una sequenza tutto sommato bilanciata, nonostante la innegabile prolissità del lavoro. Merito mi pare di poter dire anche del team produtivo e dei musicisti, sostanzialmente gli stessi che hanno dato lustro al citato That Lonesome Song: tra i tanti vale la pena citare il piano di Jim "Moose" Brown, che si fa notare anche all'organo nella country song dai riflessi soul Heartache, le chitarre di Wayd Battle, presenti in abbondanza e con spirito da autentico "oulaw" in Lonely at the Top, Playing the Part, Dog in the Yard, By the Seat of Your pants, e ancora la pedal steel stellare e il dobro di Cowboy" Eddie Long, a offrire pennellate di classe nelle riprese di Mental Revenge (Mel Tillis), For the Good Times (Kris Kristofferson) e Set 'em Up Joe (Vern Gosdin).

Proprio dalla scelta delle cover appena elencate si intuiscono le radici del musicista Johnson, che sa rendersi umile e farsi affiancare da numerosi collaboratori: Bobby Bare, James Otto e Bill Anderson (in duetto nella title track) fra gli altri co-firmano diversi episodi, dando l'impressione che Jamey Johnson sia una sorta di Waylon Jennings (presumo che il paragone lo renda fiero) dei nostri giorni, entrambi infatti in grado di attrarre intorno a sé un'intera scena di songwriter, amici e musicisti. Il confronto è ovviamente anche musicale, non si scappa: nello scorrere di California Riots, Macon (splendida ballad dagli orizzonti sudisti), Good Time Ain't What They Used To Be (scatenato honky tonk con la steel che impazza), delle acustiche That's Why I Write Songs, Thankful For The Rain e Front Porch Swing Afternoon si può sentire palpabile il terreno comune, che da Hank williams a George Jones, da Merle Haggard allo stesso Jennings infonde la voce baritonale di Johnson. Lo stanno tutti a guardare e ne vanno orgogliosi, potete starne certi: Jamey Johnson è degno di stare al fianco della loro storia.
(Davide Albini)

www.jameyjohnson.com
www.myspace.com/jameyjohnson



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