Hellsingland
Underground
Madness & Grace
[Killed By Records 2010]
Il richiamo nordico del nome non tradisce le aspettative, e gli Hellsingland
Underground proseguono la loro strada senza discostarsi molto dalle comuni
radici hard della musica di area scandinava. Ma mentre i conterranei colleghi
acuiscono spesso le fredde asprezze del clima nel suono metallico forgiato all'epica
dei guerrieri vichinghi, verso un power metal che lo stereotipo più comune colloca
in territori baltici, i nostri fregiano la loro musica dell'epiteto di "northern
rock", non celando neanche lontanamente (piuttosto per contrasto) la matrice del
loro stile, quel rock sudista nato dalle ceneri degli Allman Brothers, dei Lynyrd
Skynyrd e più in generale di tutte le band che hanno segnato certo rock
americano degli anni Settanta (dopo Woodstock e al decollo di vari dirigibili
Zeppelin&Co). Reduci allora da un disco del 2008 come probabile debutto, gli Hellsingland
Underground tornano con questo Madness & Grace forti di un'iconografia
maledetta e di uno slogan: "c'è una strada per il paradiso..e una per Hellsingland!".
Non che quest'ultima però ci si perda a seguirla, come l'immaginario
bivio vorrebbe farci credere, visto che tale è sì ben tracciata da rimarcarne
il carattere di "rootshighway", solco fin troppo deciso nella sua definizione
a ripercorrere quasi pedissequamente la pista ben delineata dai nomi di cui sopra.
Confezionati ad hoc allora strumentali jammin' che incrociano le chitarre sulla
falsariga degli Allman, appunto, come nella quasi progressività di Diabolic
Greetings From The Woods, o attacchi Lynyrd style per chitarre e boogie
pianistico di Stickin' With You. Ma i riferimenti
presi vengono annacquati con un impasto elettroacustico che non ha la potenza
rock'n'rollistica del grande southern rock, e il northern rock così autoclassificatosi
viene fuori tanto apprezzabile quanto senza arte né parte, deboluccio al confronto
con gli originali.
Per cui il sound d'apertura di The
Spark That Never Dies diverte quanto a seguire Shuffle
Day to Day e Church Bells Through The Valley
nella medesima vena artistica, ma niente di più che non siano ballad acustiche
come Vera, a sfiorare l'alternative country.
Se la chiusura sulla title-track non cambia così la nostra opinione, è piuttosto
la pianistica e malinconica A Short Time In The Sun
a farci alzare il volume, sopra le righe della standardizzazione di un genere,
verso un'identità poetica più definita e a lasciarci ben sperare. (Matteo
Fratti)