inserito 01/09/2010

Gin Club
Deathwish
[+1 records
 2010
]

In principio sembra di assistere ad una rimpatriata dei Cheap Trick: il riff di chitarra in Pennies è assolutamente contagioso, magari abusato, eppure esponente di quel rock'n'roll sguaiato che ti si attacca alla pelle. Appena girato l'angolo però Say You Will schizza in tutt'altra direzione, voci sospese e all'unisono, candore folk e aria di tradizione, prima naturalmente di arrivare al singolo prescelto, una Rain che è la quintessenza del brano pop, qualcosa che finisce dalle parti dei New Pornographers o se preferite dei Wilco più gigioni. E siamo appena al terzo brano: avrete capito che l'eccentricità regna in casa degli australiani Gin Club, collettivo che va orgoglioso del suo numero esagerato di protagonisti (cantano e compongono in sette, a cui si aggiungono addirittura degli ospiti, per una decina di persone che riescono magicamente a non pestarsi i piedi). Deathwish, nonostante la copertina minacciosa e il titolo sibillino, è un'esplosione di colori che mette insieme la migliore scuola scuola power pop, hard rock, radici country, ballate folk e psichedelia sixties attraverso una scaletta essenziale (quaranta minuti esatti e non uno spreco) come ai bei tempi: quello che hanno da dire i Gin Club lo hanno già espresso ampiamente nel doppio Junk del 2008, album ambizioso che gli è valso le attenzioni della stampa locale e l'appellativo di "most exiting band" del Queensland, portandoli in tour, tra gli altri, con Band of Horses, Drones, Midlake e Paul Kelly. Come dire: qualche concittadino illustre, ma anche band dal respiro internazionale, tanto per aprirsi un varco.

La storia è sempre quella: fossero arrivati da Los Angeles o chissà da quale altra capitale del music business i Gin Club sarebbero probabilmente sulla bocca di tutti, magari a fare concorrenza a certe bande pop rock come Fountains of Wayne o Long Winters (li ricordano in Deathwish, Slow Down e Gone, pezzi killer come si suol dire). Dall'Australia invece sono costretti ad alzare la voce, facendo il doppio della fatica: peccato perché Deathwish è un disco conciso, una appetitosa collezione di caramelle che non stravolgono certo i riferimenti già citati, ma li rileggono con una freschezza invidiabile: le cronache raccontano infatti che Ben Salter, Adrian Stoyles, Scott Regan, Brad Pickersgill, Conor MacDonald, Bridget Lewis (unica voce femminile che prende il microfono nell'acustica Milli Vanilli...la ragione del titolo provate a scoprirla da soli!), Ola Karlsson, Dan Mansfield e Angus Agars - sono finiti ve lo giuro - siano soliti scambiarsi i ruoli durante i concerti, suonando di tutto e di più.

Facile crederci, anche solo sbirciando l'elenco degli strumenti dal loro sito ufficiale. La musica stranamente ne guadagna, senza perdersi in esagerazioni: Deathwish in fondo è un semplice disco di rock'n'roll, colorito e variopinto, che tra l'esplosione elettrica di Choopin' Wood e Shake Hands, il folk cameristico di Book of Poison (i Kinks li avranno ascoltati?) e quello un po' depresso di I Am My Own Partner, arrivando persino all'alternative country da manuale di Do Right, si lascia adorare per il suo carattere sbarazzino e intelligente.
(Fabio Cerbone)

www.theginclub.com.au
www.myspace.com/theginclub


 


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