Elton
John/ Leon Russell The Union
[Mercury/ Universal
2010]
Saranno pure due vecchie cariatidi, con due fra le peggiori acconciature
in circolazione nel panorama del rock, e a qualcuno potrebbero pure provocare
risentimento quando non fastidio per l'ostentata esagerazione del proprio portamento,
però non si può dire che Leon Russell ed Elton John non amino profondamente
la musica e non siano due dei migliori pianisti in circolazione. Uno (Russell)
è una specie di spirito delle paludi, con gravi problemi di salute alle spalle
e le cui fattezze sembrano l'ombra di quelle spavalde mostrate nei tour con Joe
Cocker, l'altro è un ultrasessantenne multimilionario, la cui carriera negli ultimi
trent'anni sembrava adagiarsi su insulse produzioni pop, che ha ritrovato nel
nuovo millennio la voglia e l'ispirazione per tornare a scrivere ed incidere grande
musica (l'ultimo The captain and the kid). Per l'occasione, la coppia ha chiamato
in cabina di regia T-Bone Burnett, la cui onnipresenza nelle produzioni
roots-rock degli ultimi tre o quattro anni è un dato senza precedenti, affidandogli
il compito di tirare a lucido le quattordici nuove composizioni (sedici nell'edizione
deluxe) preparate per l'occasione della coppia. Tuttavia, e qui veniamo alle note
dolenti (non molte, peraltro), il lavoro del chitarrista texano non raggiunge
qui i risultati sperati, creando un suono paludoso, con una batteria troppo in
primo piano (anche se là dietro ci sta Jim Keltner) e spesso confinando
i pianoforti dei due protagonisti in secondo piano, così come i fiati ed i cori,
che avrebbero meritato una maggior presenza (c'è anche Marc Ribot alle chitarre,
che però si sente pochissimo).
La bontà media delle composizioni però
è decisamente alta, supplisce a queste piccole carenze di produzione, conferendo
al disco uno spessore decisamente corposo. John e Russell si divertono un mondo
nel ripescare tutte quelle atmosfere che hanno contribuito a renderli grandi:
il gospel, il country, le atmosfere in stile Big Pink, la musica della Crescent
City, una spruzzata di rock and roll e una buona dose di ballate meditabonde.
I due, oltre a duettare al pianoforte, si scambiano anche le parti vocali (la
voce di Russell è un po' impastata e porta irrimediabilmente i segni dell'età
ma rimane molto fascinosa, mentre quella di Elton si è fatta con gli anni più
scura ma non meno incisiva), lasciandosi trascinare in ritmi contagiosi come in
Monkey Man, rockenrollistica il giusto, o
Hey ahab, gonfia di alcool e fango di palude.
Il meglio, però, viene dalle ballate, tinte di gospel (There's
no tomorrow, In the hands of the angels),
di country (Jimmie Rodgers' dream) ma anche
di song anni '40 (When love is dying), attraverso
le quali la coppia sembra impegnata nel recupero integrale delle radici della
musica americana, un po', con le dovute proporzioni, come faceva la Band quarant'anni
fa.
E non è un caso che il brano che più rappresenta The Union
sia Gone to Shiloh, nella quale a un certo
punto spunta fuori anche la voce di un Neil Young, poche volte così ispirato
negli ultimi quindici anni e dove a un certo punto pare materializzarsi l'immagine
di Richard Manuel, che sicuramente, da lassù avrà guardato (ed ascoltato...) con
aria soddisfatta quei due vecchietti seduti davanti al proprio pianoforte. Insomma,
un disco che si potrebbe definire "di memoria", che tuttavia non ha nulla di stantio
ma anzi, sembra riportare la mente ad un'America che non c'è più, lasciando una
grande nostalgia ma anche la speranza che di cose come questa ne escano sempre
più spesso. (Gabriele Gatto)