inserito 11/10/2010

Justin Townes Earle
Harlem River Blues
[
Bloodshot  2010
]



Magro, occhiali alla Buddy Holly, camicia a quadri così si presenta Justin Townes Earle alla sua terza prova dopo l'acerbo ep Yuma, il diretto The Good Life e il pluri-premiato Midnight at The Movies. Justin è un'anima libera, un cowboy, trasferitosi, come il padre Steve, da Nashville alla grande mela. Tutti i brani di questo Harlem River Blues hanno come tema conduttore la vita in una metropoli come New York e le difficoltà che un ragazzo di provincia si trova ad affrontare, proprio come in quel capolavoro "Un uomo da marciapiede" con Dustin Hofmann e il cowboy Jon Voight: un country boy con tutte le speranze e i buoni propositi per "farcela" che si trova disadattato, che vaga senza meta, che accetta lavori mal pagati per mantenersi (Working for the MTA) e che soprattutto si sente tremendamente solo. Harlem River Blues (che ritrae in copertina un'altra donna in compagnia di JTE come nel precedente) é imperniato da vecchio e buon country con la C maiuscola e sembra essere registrato negli anni '50 o '60 (a parte la finale Rogers Park) ed è sicuramente il suo album migliore ad oggi.

L'album è prodotto da Justin e Skylar Wilson (anche all'organo nella bella title track) e si avvale di ospiti illustri che contribuiscono a dare un suono convincente come Jason Isbell, che fa un gran lavoro alle chitarre, Paul Niehaus (Calexico) alla steel e di Ketch Secor (Old Crow Medicine Show) che suona l'armonica con quel feeling che sembra rubato al primo Dylan. L'iniziale title track è il capolavoro indiscusso dell'album e vale da solo metà del suo prezzo. E' puro e semplice gospel sound, pare un classico trasmesso da sempre nelle stazioni radio specializzate di Nashville, nella tradizione di Waylon Jennings o Johnny Cash. L'inizio d'organo è da rimanere senza fiato, la voce è più espressiva che in altri momenti e il coro gospel dona al pezzo un qualcosa di "timeless" (la ripresa vocale alla fine dell'album in perfetto gospel style funziona anche ascoltandolo come intro).

Dopo un inizio tanto scoppiettante l'album si assesta su un buon songwriting, ad esempio in One More Night in Brooklyn con quell'andamento folkie e country tanto caro al maestro Van Zandt (e come potrebbe non esserlo visto il suo mid name?) e soprattutto con l'amara Workin For The MTA. La railroad ballad Wanderin è molto bella e sembra un omaggio alla vita di Woody Guthrie con quel ritmo bluegrass con tanto di fiddle, claphand e armonica in bell'evidenza. L'energica Move Over Mama è puro rockabilly e sembra uscire dai Sun Studios di Memphis, mentre la trascinante Slippin and Slidin, dai profumi sudisti, rievoca il Van Morrison di Tupelo Honey. Christchurch Woman è il brano che più si avvicina allo stile di Mr.Earle ed è arricchita da un piano e da un bel assolo di chitarra. La country Learning to Fly è una dustbowl ballad con la steel guitar e il violino a far da contraltare alla voce di Justin mentre la contagiosa Ain't waitin si avvale dell'armonica e di un train time superlativo. Bellissimo il piano che introduce l'introspettiva e ispirata Rogers Park, dove la solitudine affiora in superficie con la slide che accompagna la sofferta voce di Justin. L'album nella sua brevità (solo 31 minuti) mostra la raggiunta maturità e il distacco dall'ombra del padre (è sempre difficile evitare il confronto) anche se non sempre raggiunge i livelli della titletrack e di altri tre, quattro brani veramente sopra la media.
(Emilio Mera)

www.justintownesearle.com
www.myspace.com/justintownesearle



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