Justin
Townes Earle Harlem River Blues
[Bloodshot
2010]
Magro, occhiali alla Buddy Holly, camicia a quadri così si presenta Justin
Townes Earle alla sua terza prova dopo l'acerbo ep Yuma, il diretto The
Good Life e il pluri-premiato Midnight
at The Movies. Justin è un'anima libera, un cowboy, trasferitosi, come
il padre Steve, da Nashville alla grande mela. Tutti i brani di questo Harlem
River Blues hanno come tema conduttore la vita in una metropoli come New
York e le difficoltà che un ragazzo di provincia si trova ad affrontare, proprio
come in quel capolavoro "Un uomo da marciapiede" con Dustin Hofmann e il cowboy
Jon Voight: un country boy con tutte le speranze e i buoni propositi per "farcela"
che si trova disadattato, che vaga senza meta, che accetta lavori mal pagati per
mantenersi (Working for the MTA) e che soprattutto
si sente tremendamente solo. Harlem River Blues (che ritrae in copertina un'altra
donna in compagnia di JTE come nel precedente) é imperniato da vecchio e buon
country con la C maiuscola e sembra essere registrato negli anni '50 o '60 (a
parte la finale Rogers Park) ed è sicuramente
il suo album migliore ad oggi.
L'album è prodotto da Justin e Skylar Wilson
(anche all'organo nella bella title track) e si avvale di ospiti illustri che
contribuiscono a dare un suono convincente come Jason Isbell, che fa un
gran lavoro alle chitarre, Paul Niehaus (Calexico) alla steel e di Ketch Secor
(Old Crow Medicine Show) che suona l'armonica con quel feeling che sembra rubato
al primo Dylan. L'iniziale title track è il capolavoro indiscusso dell'album e
vale da solo metà del suo prezzo. E' puro e semplice gospel sound, pare un classico
trasmesso da sempre nelle stazioni radio specializzate di Nashville, nella tradizione
di Waylon Jennings o Johnny Cash. L'inizio d'organo è da rimanere senza fiato,
la voce è più espressiva che in altri momenti e il coro gospel dona al pezzo un
qualcosa di "timeless" (la ripresa vocale alla fine dell'album in perfetto gospel
style funziona anche ascoltandolo come intro).
Dopo un inizio tanto scoppiettante
l'album si assesta su un buon songwriting, ad esempio in One
More Night in Brooklyn con quell'andamento folkie e country tanto caro
al maestro Van Zandt (e come potrebbe non esserlo visto il suo mid name?) e soprattutto
con l'amara Workin For The MTA. La railroad ballad Wanderin
è molto bella e sembra un omaggio alla vita di Woody Guthrie con quel ritmo bluegrass
con tanto di fiddle, claphand e armonica in bell'evidenza. L'energica Move
Over Mama è puro rockabilly e sembra uscire dai Sun Studios di Memphis,
mentre la trascinante Slippin and Slidin,
dai profumi sudisti, rievoca il Van Morrison di Tupelo Honey. Christchurch
Woman è il brano che più si avvicina allo stile di Mr.Earle ed è arricchita
da un piano e da un bel assolo di chitarra. La country Learning
to Fly è una dustbowl ballad con la steel guitar e il violino a far
da contraltare alla voce di Justin mentre la contagiosa Ain't
waitin si avvale dell'armonica e di un train time superlativo. Bellissimo
il piano che introduce l'introspettiva e ispirata Rogers
Park, dove la solitudine affiora in superficie con la slide che accompagna
la sofferta voce di Justin. L'album nella sua brevità (solo 31 minuti) mostra
la raggiunta maturità e il distacco dall'ombra del padre (è sempre difficile evitare
il confronto) anche se non sempre raggiunge i livelli della titletrack e di altri
tre, quattro brani veramente sopra la media. (Emilio Mera)