Delta
Spirit History From Below
[Rounder/Universal 2010]
Il mondo delle produzioni indipendenti è servito anche a riaprire gli occhi
su quanti ragazzi negli USA ancora vivono vagabondando come gli hippie d'un tempo,
vuoi perché portano in giro la loro musica, vuoi perché dopo gli anni 70 ci si
è dimenticati di questo popolo che vive perennemente fuori dal mondo e on the
road. I Delta Spirit vivono in questo limbo giovanile da tempo, si sono
affacciati al mondo nel 2006 con un EP e nel 2008 con il primo album (Ode To Sunshine…e
già se non è un titolo da flower power questo…), vengono da San Diego ma potevano
arrivare dalla Luna che sarebbe stato lo stesso. History From Below
è il loro secondo disco, e nasce da tutto il genuino stupore di chi si affaccia
sul mondo reale e scopre all'improvviso che i potenti sono cattivi mentre le "storie
dal basso" del titolo parlano di povera gente e buoni sentimenti. Così come il
brano che apre il disco (9/11) nasce dalla
presa di coscienza di come accadono cose come quelle di quel maledetto 11 settembre
e il testo è un'unica lunga domanda "perché accade?", tipica di chi in cuor suo
sente che non troverebbe alcuna umana ragione per giustificare tanto orrore, ma
si rende conto che per alcuni (troppi) non è davvero così.
Ci sarebbe
da sorridere beffardi per i testi del leader Matthew Vasquez, perché sembra
davvero di leggere certi proclami umanitari alla Jefferson Airplane, in ritardo
di quasi 40 anni, ma poi alla fine ti rendi conto che tutto nasce da una tradizione
folk che i Delta Spirit sembrano in grado di tramandare e rinnovare con grande
capacità, anche se ancora troppa poca esperienza. Il disco si chiude infatti con
la straordinaria Ballad Of Vitality, una lunga
intro da folk da Greenwich Village seguita da un esplosione orchestrale, tutto
per raccontare la storia (vera e recente) di quel padre russo che ha perso la
figlia in un incidente aereo e ha ucciso il controllore di volo svizzero che l'ha
causato, una storia dal basso che definisce amaramente la natura umana. Ma è un
finale oscuro che serve a rendersi conto che le storie di questo album ci servono
ancora, che lo sguardo innocente di questi ragazzi è utile per ricordarci come
dovremmo essere, anche se non lo saremo mai, e il bagno purificatore della copertina
sembra essere un invito rivolto a tutti più che una semplice foto.
Il
tutto ci viene raccontato attraverso un album musicalmente molto studiato (6 mesi
di gestazione si sentono) e drammatico (la presenza di Bo Koster dei My Morning
Jacket in sede di produzione si sente ancor di più), con momenti di stravolto
folk noir alla Felice Brothers (Salt In The Wound,
ma ancor più la splendida White Table li ricordano
molto), freak-folk alla Okkervil River (Devil Know's
You're Dead) o semplice folk e basta (all'orchestrata Randsom
Man fa da contraltare la scarna resa di Scarecrow).
Definirli è dura, 9/11, Bushwick Blues e Golden
State (un giro di piano rubato ai Counting Crows) ad esempio hanno
strutture classicissime ma suonano ugualmente moderne, tanto da portarci a dire
che se il folk classico ha ancora speranza di poter scandire il ritmo delle nostre
coscienze, questa è la via giusta per riuscirci. (Nicola Gervasini)