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Woody
Pines
Counting Alligators
[Woody
Pines 2009]
 
Trenta minuti e una manciata di secondi sono sufficienti per un viaggio
di andata e ritorno lungo l'albero genealogico della roots music americana:
Woody Pines, l'autore e la band, in pratica una cosa sola, ci rinfrescano
la memoria con brani autografi e un pugno di traditional seguendo le linee
di quel rinascimento old time che ha visto in prima fila in queste
stagioni gli Old Crown Medicine Show. Il loro nome non è citato a caso,
se è vero che Woody Pines, ragazzo del North Carolina poi stabilitosi
fra Nashville e l'amata New Orleans, ha collaborato in passato con Gill
Landry, lo stesso membro dei OCMS che ritroviamo nelle session di
Counting Alligators a maneggiare slide guitar, organo e
batteria, portandosi appresso anche il compagno Ketch Secor al
violino (un cameo in Walking Down the Road
e Chew Tobacco red). I legami artistici
e l'ispirazione comune si stringono dunque e Woody Pines si alliena a
questa ondata revivalistica con l'energia e la freschezza che si addice
al genere: blues, hillbilly, ragtime, dixieland sono solo alcune delle
suggestioni musical-geografiche che attraversano le unidici tappe di Counting
Alligators, terzo lavoro indipendente della band (compeltata da Zack Pozebanchuk
al contrabasso e dalla coppia Rennie Elliott e Andy Tubb alle percussioni
e batteria).
Probabilmente, avvantaggiandosi delle famose collaborazioni, si tratta
anche del disco che li proietterà sotto i riflettori dell'universo Americana,
già lodati dalla critica e in procinto di affrontare un tour inglese la
prossima primavera. L'impressione è che se le qualità strumentali e la
vivacità di esecuzione non siano affatto in discussione (in studio si
aggiungono poi il sax e la cornetta di Henry Westmoreland dagli Squirrel
Nut Zippers), il raggio d'azione di Woody Pines e compagni sia ormai uno
standard che ha dato i suoi migliori frutti. Risentire - pur in tutta
la loro immediatezza - le ennesime versioni di Casey
Jones e 99 years (altri
brani riepscati dalla memoria sono il ruspante dixieland di Harlem,
l'effervescente Rich Gal Poor Gal e
il più mansueto country blues Satisfied)
non appare più una rivelazione assoluta, almeno per chi in questi anni
ha seguito i ricorsi storici affiorati fra i giovani musicisti americani.
È comunque innegabile che l'espressione di fedeltà agli originali, amplificata
da quello spirito esuberante che appartiene agli stessi Old Crown Medicine
Show, renda Counting Alligators (a partire proprio dall'armonica bluesy
che soffia nella title track) una festa di sapori antichi e rigorosamente
rurali. Woody Pines in persona convince con il suo canto nostalgico e
ossequioso dei padri: anche i brani firmati in proprio - tra una vispa
Cocaine Bill e una più abbandonata
Crazy Eyed Woman - sono mossi da
questa devozione assoluta. Il rischio purtroppo è sempre quello di mostrarsi,
nonostante tutta l'energia profusa, come una semplice riproduzione.
(Fabio Cerbone)
www.woodypines.com
www.myspace.com/woodypines
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