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The
Weight
Are Men
[Tee
Pee 2009]
Ci vuole già una buona dose di coraggio - o forse una beata incoscienza
- per decidere di chiamarsi The Weight, un "peso" di nome e di
fatto che, restando circoscritti al rock delle radici, non può non rimandare
a qualcosa di immacolato, ad un santuario, quello della Band e dell'omonima
canzone, inviolabile per chiunque. Trattandosi di una rock'n'roll band
ad assetto variabile e con un folksinger a tirare le fila di un country
rock sgangherato, non c'è affatto il rischio di restare imbrigliati nelle
maglie di insostenibili raffronti. The Weight abitano piuttosto il lato
più sporco e gioviale di uno stile che sembra sempre sul punto di cadere
miseramente, eppure trova ogni volta l'occasione per rigenerarsi puntando
tutto sull'approccio, l'energia, il disincanto, anche una certa malizia.
Joseph Plunket ha la voce e la canzoni per sostenere questa tesi,
senza imbattersi in accuse di imitazione proprio per la sua scelta plateale.
La musica di Are Men - secondo lavoro sulla lunga distanza
per il gruppo, dopo la sua ricollocazione geografica da Atlanta a Brooklyn,
New York - è esattamente lo scatto di una session informale, di un convivio
fra le mura di uno studio (si veda anche la copertina) che ha tutta l'aria
di essere stato catturato dal vivo, buona la prima. Dopo una serie di
tentativi abbozzati, alcuni ep pubblicati sotto diverse denominazioni,
Plunket ha scovato l'assetto ideale per le sue honky tonk songs alticce
e lamentose grazie all'arrivo di Fletcher C. Johnson (chitarre
e piano) e Johnny Pockets (pedal steel), elementi chiave nello
sviluppo di Are Men. Sono loro, insieme alla voce strascicata e lagnosamente
country del leader, ad architettare il fascino di un rock'n'roll da back
porch, un portico all'imbrunire sotto il quale intonare ballate che
si trascinano fra il crepuscolo country blues degli Stones di Beggar's
Banquet e Exile, la poesia stracciona del Neil Young di Tonight's the
Night e tutta quella progenie di band dall'anima tormentata e dal suono
ubriaco, Green on Red in testa. Se queste suggestioni vi hanno messo sull'attenti,
sappiate che Are Men è il disco "da sbornia" di questo 2009,
di quelle pacifiche però da consumarsi con amici e conoscenti,
tra una Like Me Better che parte sorniona
e finisce in un delirio di chitarre stridenti, una Had
It Made che mischia Chuck Berry e Replacements, fra il dolce
dondolare di Talkin' e la sua coda
indiscutibilmente rock o ancora l'orizzonte infinito di Sunday
Driver.
La main street - di stonesiana memoria - su cui restano esiliati The Weight
è esattamente questa e non ci si allontana di un centimetro dall'idea
di una musica che possiede il senso della propria storia (dovremmo ancora
dire delle radici, se non suonasse abusato come termine). Per qualcuno
saranno un luoghi comuni, per altri l'ennesima bar band ottima per un
sabato sera in compagnia, qui invece le canzoni di Joseph Plunkett, le
armonie a tre voci sconclusionate e spassose (sentitele nel country rock
settantesco di Closer thank a Friend,
più o meno i Black Crowes se suonassero con meno tecnica e seriosità),
il violino e le carezze acustiche di Hillbilly
Highway (un titolo, una promessa), quel senso di serena imprecisione
che accompagna il canto e le parole di A Day
in the Sun in chiusura, insomma tutto l'insieme concorre ai
quaranta minuti più sinceri e senza pretese che il roots rock di stagione
abbia da segnalare. L'entusiasmo scombinato di The Weight, in tutta la
loro improbabile "originalità", è per cuori ingenui: se ne fate parte,
accomodatevi.
(Fabio Cerbone)
www.myspace.com/theweightnyc
www.teepeerecords.com
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