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The
Derek Trucks Band
Already Free
[Victor/
Sony 2009]
Alleluia, e viva la famiglia. Aspettate un attimo, non è un sussulto di
clericalismo ratzingeriano o una conversione iper-cattolica di quelle
ultimamente tanto di moda nello stivale; voglio però dire che l'atmosfera
familiare e casalinga, rilassata e downhome che si respira in questo
Already Free è qualcosa di assolutamente irresistibile. Senza
nulla togliere ai precedenti lavori della Derek Trucks Band, l'organicità
di Already Free, che i critici col naso arricciato hanno già tradotto
come "prevedibilità", rappresenta certamente ciò che di meglio il biondocrinito
Trucks ha sino ad oggi saputo assemblare in un singolo disco. Non un tradimento
delle suggestioni etnografiche dei passati lavori, sia detto per inciso,
bensì una dimostrazione pratica, coerente, intima e collettiva, ruggente
e affettuosa al tempo stesso, della possibilità di seguire "le vie dei
canti" anche dalla veranda di casa propria, nella consapevolezza che il
Bruce Chatwin interiore di ciascuno di noi, per trovare il compimento
del proprio viaggio, deve prima o poi accettare il ritorno alle origini
e il personale confronto con le radici.
Del resto, il rientro è tappa imprescindibile di ogni fuga: lo sa bene
Trucks, che guarda caso ne canta - cosa rara - nelle liriche di Maybe
This Time, e lo sa Ashley Kahn (il giornalista dei meravigliosi
A Love Supreme e Kind Of Blue da noi pubblicati per i tipi del Saggiatore,
nientemeno), che dopo aver magnificato le caratteristiche di una musica
definita environment, un ambiente ("aperto, dove è facile intrufolarsi"),
conclude le sue dotte liner-notes con un perentorio "welcome home". La
casa, l'ambiente, la familiarità create da Trucks sono quelle apprese
in quasi dieci anni di collaborazione con gli Allman Brothers, in diversi
percorsi di ricerca spirituale, in un matrimonio (con Susan Tedeschi,
qui voce regina del capolavoro Back Where I Started,
scritto a quattro mani da Trucks e dal "mulo" Warren Haynes: 5' di sublime
introspezione acustica memore della prima Bonnie Raitt) all'insegna dell'amore
per la musica e della sublimazione dello stesso sul palcoscenico. Impossibile
non avvertire tutto questo nel Bob Dylan scaraventato nella fanghiglia
swampy di Down In The Flood (stava
sui "nastri della cantina", ricordate?), nelle chitarre e nelle percussioni
che costruiscono il boogie sfrigolante di Get
What You Deserve, nello spumeggiante soul sessantesco, sudista
e gospel di Sweet Inspiration (composta
da Dan Penn e Spooner Oldham per gli stessi Sweet Inspirations nel '68,
ma l'hanno rifatta anche Santana, maluccio, e Rita Coolidge, deliziosamente),
nello sconquassante blues elettrico della straordinaria Don't
Miss Me, nel travolgente drive funky di Something
To Make You Happy.
Ma al di là delle pur bellissime canzoni singole (c'è anche uno strumentale
nascosto, Swamp Raga), il più grande
pregio di Already Free, come detto, risiede nel clima accogliente che
lo governa. Se c'è chi soffre di una sindrome "nimby" (not in my backyard,
non nel mio cortile), sappia che in questo disco le benedette chitarre
di Derek Trucks, il basso di Todd Smallie, le percussioni di Count
M'Butu, il drumming di Yonrico Scott, le tastiere di Kofi
Burbridge (B3 caldissimo e avvolgente nell'errebì di una I Know desunta
da Big Maybelle) e la voce ruvida di Mike Mattison formulano un
invito inderogabile a contaminarli, i cortili, e ad abbatterne le recinzioni
a colpi di grande musica. Unitevi alla celebrazione.
(Gianfranco Callieri)
www.derektrucks.com
www.victor-records.com
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