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Justin
Townes Earle
Midnight at the Movies
[Bloodshot
2009]
Una canzone in particolare di questo Midnight at the Movies sembra
mostrarci senza veli il suo autore: si tratta di Mama's
Eyes e di un paio di passaggi in particolare, là dove
Justin Townes Earle (il cognome dovrebbe già avervi messo sull'attenti)
confessa con sincerità la difficile strada intrapresa in questi anni,
quando dice "I am my father's son/ I've never known when to shut up" e
soprattutto si preoccupa di aggiungere "I was a young man when/ I went
down the same road as my old man". Proprio così, perché a vent'anni Justin
era già un drug addicted, tanto da farsi buttare fuori dal tour
con i Dukes ed entrare di filato in una clinica di Los Angeles. Ora ne
ha ventisette, è diventato un uomo, ma soprattutto può già vantare due
dischi ed una carriera solista che inizia a farsi veramente interessante.
Lo dico con convinzione dopo avere più volte osservato e ascoltato questo
Midnight at the Movies, secondo lavoro per la Bloodshot di Chicago, che
di primo impatto si allinea musicalmente a quanto ci aveva mostrato nell'esordo
The
Good Life, eppure suona decisamente più maturo nel songwriting.
Colpiscono infatti i testi, assai profondi, pieni di romanticismo e disillusione,
che per un ragazzo in fondo ancora così giovane, sono il segnale di un
artista cresciuto in fretta. Non si può dunque far finta di non riconoscere
la bellezza di alcuni passaggi acustici, il loro tono confidenziale, tra
cui la stessa title track e Someday I'll Be Forgiven
for This, entrambe vicinissime al primo Ryan Adams (quello
acustico e solitario di Heartbreaker, per intenderci) oppure la conclusiva
Here We Go Again, che davvero richiama,
per la prima volta in modo esplicito, lo stile del padre Steve (possiamo
definirla, con tutte le cautele per carità, la Goodbye di Justin? Concedetemelo).
A differenza dunque del recente esordio, Midnight at the Movies
è un album che comincia ad elaborare con una personalità propria
la formazione del musicista e del songwriter: vi troverete nuovamente
quegli spunti di retro swing fuori moda (What
I Mean to You), quel country blues più rustico (l'interessante
rilettura del mito in They Killed John Henry,
Halfway to Jackson) e persino dal
sapore bluegrass (Black Eyed Suzy)
e honky tonk (Poor Fool), per cui
Justin Townes Earle è stato giustamente inserito fra le nuove giovani
voci della tradizione (il primo Hank III, ma soprattutto il misconosciuto
Paul Burch, alcuni dei nomi che subito saltano alla mente), ma è pur vero
che i contenuti delle sue ballate ci mostrano uno scrittore potenzialmente
di razza e pronto al salto di categoria.
Lascio insomma aperta qualche condizione, forse perché nonostante le buone
qualità dei musicisti (Cory Younts al banjo, armonica e mandolino; Skylar
Wilson all'organo e pianoforte, Pete Finney al dorbo e steel) e la garanzia
del produttore RS Field, la sensazione è che Justin Townes Earle
non ci abbia ancora mostrato tutto il suo talento: l'idea che si sia messo
a reinterpretare Can't Hardly Wait
dei Replacements, qui resa in rigorosa verisone roots per mandolini e
violino, suggerisce che sotto la scorza tradizionalista cova un'anima
rock che presto potrebbe scoppiare.
(Davide Albini)
www.myspace.com/justintownesearle
www.bloodshotrecords.com
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