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Abi
Tapia
The Beauty In The Ruin
[MoonHouse
Records 2009]
La scuola texana, si sa, sforna a ripetizione un gran numero di talenti
che escono dall'Università di Austin con tanto di laurea in Americana.
Spesso a pieni voti, dobbiamo ammettere, come nel caso di Abi Tapia,
che è andata a studiare i segreti di quella disciplina grazie alla passione
per la country music versione stella solitaria, quella che brilla ancora
e fa luccicare un genere che un po' più a est risuona vuoto e ormai completamente
ammaestrato. Un'infanzia nomade - e questa è una delle caratteristiche
comuni alla maggior parte degli alunni dello stesso corso - che si trascina
tra Iowa e Maine, la musica nel sangue e un'attitudine che, a differenza
di molti colleghi, va oltre la semplice stropicciata di un sogno ammorbidito
da un arpeggio di chitarra. Abi ci sa fare, lo si percepisce sin dalle
prime note di questo album che segue il già ottimo One Foot Out The Door
di quasi quattro anni fa, una manciata di canzoni che lasciano trasparire
un songwriting maturo e una produzione di valore che conta su pochi mezzi
ma buoni, come a ribadire che la sostanza non ha bisogno di suppellettili,
spesso un limite alla naturale e nobile predisposizione.
Chris Gage, patron della MoonHouse e ottimo polistrumentista, dispiega
un sound che incornicia a dovere alcuni ritratti di tristezza, solitudine
e speranza a lieto fine. Pedal steel e violino arricchiscono senza esagerare
un impianto semiacustico che pone con naturalezza Abi Tapia nella folta
schiera del cantautorato al femminile in senso classico, quello che miscela
senza difficoltà country, folk e qualche goccia di rock che aumenta il
grado alcolico senza rischio di ebbrezza. In questo caso direi che ci
troviamo di fronte a una via di mezzo tra Mary Chapin Carpenter e la Tracy
Chapman del primo disco, quello che ormai fa parte del mito: se si ascoltano
l'iniziale Another State Line, un'autobiografia
in musica con tanto di steel, la bellissima My
Miner, una sorta di versione moderna di For My Lover, e la
conclusiva The Last Waltz, grandissima
ballata dall'impianto epico, non tardiamo a rendercene conto.
The Beauty In The Ruin è un disco solido dall'inizio alla fine,
ricco di spunti notevoli e sorprendenti come The
Easy Way, un brano che affronta il difficile tema della depressione,
con organo e violino a imprimere il passo a un refrain magistrale, oppure
Let The Lover Be, un country upbeat
da canticchiare all'infinito, con quella limpidezza melodica che scombina
i piani del motivo da fischiettare durante la giornata. Se Flying
racchiude qualche inflessione pop, Beware
poggia su un'impalcatura folk di stampo classico, mentre Just
Let Me Go è un country degno di tale nome che apre le porte
a Get It And Go, chitarra knopfleriana
e altro highlight della raccolta. Non poteva mancare una concessione al
rock, e Born Again giustifica l'assenza
in tempo reale. Belle canzoni, bella voce, Abi Tapia ha tutte le qualità
per emergere, se lo merita.
(David Nieri)
www.abitapia.com
www.moonhouserecords.com
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