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Amy
Speace
The Killer in Me
[Wildflower/
Audioglobe 2009]
Perché Amy Speace dovrebbe avere qualcosa in più delle altre? Produce
un country imbastardito con chitarre rock, come già Lucinda Williams e
Steve Earle prima ancora di lei. Ha una bella voce, sempre abbastanza
roots-oriented, ma non particolarmente riconoscibile tra le tante. E con
Lucinda condivide anche una lunghissima gavetta (ma lei nella vita ha
fatto tutt'altro che la cantante) e un certo piglio da maschiaccio che
le fa preferire i giubbetti di pelle ai vestitini con i merletti. Eppure
se già il suo esordio per la Wildflower di Judy Collins (Songs
for Bright Street) aveva convinto, questo The Killer
In Me (in verità il quarto album della sua carriera) evidenzia
una ulteriore maturazione del songwriting, che la conferma come una delle
realtà più vive del momento. Rispetto al predecessore, la Speace non ha
cambiato squadra: ad accompagnarla ci sono sempre i Tearjerks con la chitarra
impastata di polvere rock di James Mastro, un passato nei Bongos
negli anni 80 (una band di rock sotterraneo in stile Feelies) e quattro
anni fa chitarrista dell'Ozzy Osbourne post-sit-com di MTV. Mastro qui
appare anche in veste anche di produttore, e siccome due anni fa ha fatto
faville con la sua sei corde nell'album Shrunken Heads di Ian Hunter (contribuendo
al suono molto americano di quel disco), ha coinvolto il vecchio leone
del glam-rock inglese anche in questa avventura, dove la voce di Ian fa
da contraltare a quella di Amy in più di un brano.
The Killer In Me appare un album riuscito fin dai primi ascolti, contiene
brani molto semplici e orecchiabili come Better,
This Love
o Something More Than Rain, che potrebbero
anche indurvi a lasciare il disco nella vostra cartella "ascolti distratti",
ma basta passare dalle parti di Blue Horizon,
splendida desertica marcia funebre che sa molto più di Austin che della
sua New York, per capire che qui le cose girano per il verso giusto. Amy
Speace e il suo team sono bravi a intuire quando è il caso di lasciar
parlare la canzone senza troppo aggiungere (l'iniziale Dog
Days ad esempio, ma anche la riflessiva
Haven't Learned A Thing), oppure infarcire un brano di per
sé già teso come Storm Warning con
suoni e rumori sinistri. Ne esce un disco vario, che utilizza risaputi
mid-tempo da Nashville all'ora della pennichella come quello della title-track,
ma li colora con bei testi che scavano nel profondo delle sue relazioni
amorose.
Il meglio del disco arriva nel finale, con la travolgente cavalcata di
Would I Lie, gli isterici cambi di
ritmo e tono di Dirty Little Secret (probabilmente
il capolavoro del disco), la ritmata border-song di
I Met My Love, e l'emozionante lungo finale di Piece
By Piece. Proprio quando scrosciano gli applausi, c'è tempo
per il bis della bonus-tracks, la folk-song di protesta Weight
Of The World, che la padrona di casa Judy Collins ha già battezzato
"la migliore canzone anti-guerra che io abbia mai sentito". Sarà pure
marketing spiccio, ma detto da una che ne ha interpretate mille, qualche
cosa significherà pure.
(Nicola Gervasini)
www.amyspeace.com
www.myspace.com/amyspeace
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