Mark
Rice
Topography Of A Bird
[Pub
Can Records 2009]
Un debutto sofferto, dalla gestazione lunghissima, tanto che a un certo
punto forse nessuno, tra gli addetti ai lavori, ci sperava più. Con il
senno di poi, i fortunati che si sono ritrovati il disco tra le mani non
hanno potuto che ringraziare chi di dovere, compatibilmente alla dimensione
di appartenenza. Mark Rice è l'ennesimo cantautore generato dalla
provincia, stavolta una cittadina della "rust belt" appalachiana,
per essere più precisi Weirton, West Virginia, la fascia delle acciaierie
dove si lavora nelle officine durante la settimana per poi ubriacarsi
nei week end, senza che nessuno si accorga di nessuno, senza che una chitarra
possa parlare, a meno che non la si intinga di poesia. La naturalezza
con la quale Rice sprigiona una manciata di canzoni da brivido fa quasi
gridare all'ennesimo, piccolo miracolo. Le sue ballate sospese tra Dylan
e lo Springsteen di Nebraska lasciano con il fiato in gola, mentre la
percezione del tempo subisce un repentino spostamento sull'asse tra antico
e moderno.
Ballate semplici, liriche crude e riflessive, riannodate sulla matassa
che divide sofferenza e redenzione, nella ricerca di quelle risposte che
un uomo inevitabilmente va cercando sulla strada dell'esperienza. Quattordici
i brani del disco, un'ora di musica intervallata da una canzone della
collaboratrice Sissy Clemens (Starting
Ground), ottima violinista che approfitta dello spazio aperto
per sfoggiare le sue doti compositive. La voce di Mark è buona ed espressiva
quanto basta, la track list parla il dialetto dei sogni, il suono è ben
calibrato grazie alla produzione di Dave Young, che spesso arricchisce
l'impianto con arrangiamenti orchestrali che però non oltrepassano mai
la soglia di guardia. Chitarre acustiche, violino e piano costituiscono
il comun denominatore dell'impalcatura che sorregge alcuni gioielli tutti
da scoprire, dall'iniziale Show Me How To Love
fino alla conclusiva Swirling, intenso
folk cantautorale che si intercala nella tradizione rendendola sempre
più attuale.
Il sussulto vero e proprio giunge con Ohio,
canzone che oserei definire straordinaria, intro acustico che dilata una
melodia superba sorretta da batteria e Hammond. Molto belle Maybe
This Time, ottimo gioco di chitarre, piano e armonica a foderare
il folk con un elegante pop tutto da gustare, e Broken
Or Whole, altro tassello importante dotato di un refrain da
antologia che si appiccica ai gradini della memoria senza l'intenzione
di scendere, almeno a breve termine. Una penna notevole, che manifesta
tutta la sua forza in Hold Me Now,
Don't Let Me Down e Save
Me Tonight, dove l'artista si rivolge a un amico, a una donna,
a Dio stesso per cercare una via d'uscita al vuoto che lo circonda. Atmosfere
rarefatte e incantate, perlopiù acustiche e incontaminate: chi ama la
musica d'autore ha un nuovo nome su cui puntare. (David Nieri)