|
Ramblin'
Jack Elliott
A Stranger Here
[Anti/
Self 2009]
Il soprabito è fradicio e sgualcito dall'acqua, le valigie stazionano
ai piedi di uno "straniero"che si prepara forse ad vagabondare nel mondo
in cerca di un approdo: manca soltanto una chitarra per tornare alla mitologia
dell'hobo americano, ma sappiamo bene che basta quel nome, Ramblin'
Jack Elliott, per evocare un immaginario fatto di depressione, polvere,
treni, fuggiaschi, reietti e marginalità. A Stranger Here
fomenta tutto ciò con una celebrazione che tuttavia non ha il sapore della
sola nostalgia, piuttosto la saggezza di un lungo mestiere, di un cammino
interminabile, giunto alla soglia dei sessanta anni di carriera, per un
uomo che ne porta settantasette sulle spalle e non si è ancora stancato
di cantare. Con la sua voce rotta e incerta, senza dubbio, ma con l'anima
pulita e una volta tanto con un produttore, dei musicisti, un'etichetta
che si sono presi la briga di costruirgli intorno un lavoro di ricerca,
di donare alla sua figura un senso che non sia soltanto un rito fatto
di ricordi.
Joe Henry, ancora e sempre lui, coscienzioso indagatore di vecchie
glorie, gli ha messo a disposizione un'idea e soprattutto un suono che
suscitasse un parallelo fra l'America del crollo finanziario di oggi e
quella spesso sobillata a sproposito della Grande Depressione. Non è il
caso di A Stranger Here e dei suoi country blues asciutti e sferzanti,
che dagli spettri di Son House, Mississippi John Hurt, Reverend Gary Davis,
Blind Willie Johnson ricava una rappresentazione magica dentro cui si
riflette il presente. A far compiere uno scatto rispetto anche al precedente
esordio su Anti (quel grezzo e scarno bozzetto folk di I
Stand Alone), non è tuttavia la semplice scelta di un repertorio
"black" e fuori dalla normale visione di Ramblin Jack Elliott: in A Stranger
Here ci sono stanze accoglienti e altre più buie, e in ognuna si viene
accompagnati per mano da musicisti che Henry ha diretto con la proverbiale
e meticolosa eccellenza. Dal pianismo sfavillante di Van Dyke Parks
e Keefus Cinancia alle cesellature chitarristiche di Greg Leisz
(illuminazioni e godurie in Rambler's Blues),
dall'accordion di David Hidalgo alla sezione ritmica formata da
David Piltch e Jay Bellerose, c'è esperienza sufficiente per non far apparire
classici quali Death Don't Have No Mercy
e Soul of a Man (commovente da groppo
in gola) esercizi di stile.
Joe Henry sembra inoltre avere accantonato quella patina di contegno che
cominciava ad affiorare troppo spesso nelle più recenti produzioni:
il canto di Ramblin Jack Elliott risulta così tutt'altrro che artefatto
(in Grinnin' in Your Face di Son House
si concede in tutta la sua precarietà) e il repertorio una manifestazione
di vitalità in presa diretta, tra il dolce cullare di Richland
Women Blues, una How Long Blues
(Leroy Carr) che gigioneggia fra gli svolazzi della fisa di Hidalgo, per
non tacere infine di una New Stranger Blues
che suggeriamo a Ry Cooder di riprendere presto in concerto. Come dite?
Gioco facile costruire un disco della portata comunicativa di A Stranger
Blues, visti protagonista e comparse? Provateci allora, a prendere per
le corna queste canzoni e a non venirne disarcionati come assoluti dilettanti.
(Fabio Cerbone)
www.ramblinjack.com
www.anti.com
|