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Jeffrey
& The Free Radikals
Jeffrey & The Free Radikals
[Slagerfabrikken
2009]
 
Jeffrey A. Wasserman imbraccia un mandolino nella foto interna
di questo tardivo esordio musicale: ha tutta l'aria di uno che ne ha viste
passare tante, da quando giovanissimo uscì di casa per seguire le tracce
del revival folk. Era il tramonto degli anni sessanta e poco più che adolescente
si ritrovò al festival di Newport, quindi inseguì le tracce della giovane
musica americana, la protesta che montava e i sogni di una generazione
che si sarebbero infranti su un muro di disillusioni. Sarà per questo
che da vent'anni e forse più il nostro si è isolato, mettendo radici in
Norvegia, lontano dagli incubi della madre patria. Qui come altrove ha
coltivato il lavoro paziente e artiginale del songwriter, scrivendo per
moltissimi autori scandinavi e facendosi persino notare ai Grammy locali.
Nel suo personale cassetto però erano rimasti inediti e piccole storie
che non avrebbero trovato pace se non nelle stesse mani di Wesserman.
I Free Radikals guidati dal produttore e chitarrista Knut
Reiersrud sono giunti in soccorso mettendo ordine nel baule di canzoni
di Jeffrey: non solo, strada facendo si è aggiunta qualche notevole comparsa
conosciuta fra i tempi di Woodstock e i tour nel nord Europa, tra cui
l'organo di Garth Hudson (The Band) e il dobro di Cindy Cashdollar
(ospite nella dolce country song Train Don't
Stop Here Anymore). Camei che sottolinenano il percorso musicale
di Wasserman, la sua musica d'autore e la sua poesia folk quotidiana,
che si tinge di colori country rock tenui, di soul dagli aromi sudisti
e in generale di un rock tradizionalista che molto deve all'avventura
dei seventies, a cominciare dalla lezione della stessa Band di Hudson,
Helm, Robertson e soci. Ne ricordano quanto meno le fattezze e la ricerca
musicale sia i brani più inclini al lato southern e bluesy della scrittura
di Wasserman (All Hell Broke Loose in
Heaven, la funkeggiante The
Place God Never Wanted, la corale Maybe
Someday), mentre all'altro capo del filo si distendono eleganti
ballate dal sentimento acustico che fanno del calore musicale il loro
punto di forza (fra accordion, violini, fiati, lap steel non si può negare
il fascino degli arrangiamenti in Every Reason
Why e Another Song).
Nella qualità innegabile della performance l'anello debole sembra essere
proprio la voce di Wasserman, che sorretta da una nutrita schiera di collaboratori
riesce a reggere a fatica l'impatto intimo di queste composizioni, non
riuscendo a nascondere insomma le sue magagne. Peccato perché una convinzione
maggiore avrebbe reso più giustizia a brani quali la rustica Big
Little Me e Hearts of Silver,
nella resa un po' troppo dimesse, come se mancasse la zampata di un vero
fuoriclasse. Sacrosanto il diritto di Jeffrey Wasserman di confrontarsi
con un pezzo della sua storia e della sua produzione, anche se qualche
limite dell'interprete è a tratti evidente. Un disco comunque ricoperto
da una dolce patina di nostalgia, sbucata direttamente da una stagione
lontana.
(Fabio Cerbone)
www.freeradikals.no
www.myspace.com/jeffreythefreeradikals
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