Kris
Kristofferson
Closer to the Bone
[New
West 2009]
Non è disco per questi tempi Closer to the Bone, così come
non lo era il suo speculare predecessore This
Old Road: trentatrè minuti e una manciata di secondi che hanno
in bocca il sapore di una musica spiattellata con verità e saggezza, senza
nascondere le fragilità dell'autore, la vita che scivola via, gli amici
che non ci sono più. Capita a chi, come Kris Kristofferson, ha
superato da tempo l'età delle conquiste e del successo per approdare ad
uno status di icona della canzone americana (e non solo viste le sue carriere
parallele), magari meno "ingombrante" e trasversale rispetto a quelle
degli amici Johnny Cash e Willie Nelson, pur sempre riverita fra colleghi,
critica e quel pubblico country & americana dall'animo "progressista".
Closer to the Bone conferma dunque il nuovo percorso acustico, nudo e
crudo, secondo quel tracciato che il produttore Don Was sembra
avere leteralmente scippato a Rick Rubin: non può infatti non ricordare
- almeno a livello estetico e di suono - l'operazione degli American recordings
questa dimensione raccolta, intima, in cui Kristofferson si circonda di
qualche chitarra, armonica e mandolino (c'è l'amico scomparso Stephen
Bruton, fra le ultime session prima di andarsene per un cancro), della
firsarmonica di Rami Jafee e molto occasionalmente della batteria di Jim
Keltner.
La differenza certo la fanno le canzoni, le quali portano soltanto la
sua firma e non hanno intenzione di scandagliare passato e presente dell'american
music. D'altronde Kris è un songwriter e non un interprete, con quella
voce imprecisa che lui stesso non è mai riuscito ad accettare fino in
fondo (arrivato a Nashville sul finire dei 60s la definì quella di un
ranocchio). È la sua però e possiede l'impronta degli originali: solo
così si può spiegare il fascino di un album che lavorando per sottrazione
arriva esattamente allo scheletro di quella voce, sussurrando con placida
sapienza di amicizie (Good Morning John
è tutta per l'uomo in nero, Sister Sinead
per la cantautrice irlandese Sinead O'Connnor), famiglia (From
here to Forever, The Wonder),
perdite e mortalità. Un raccolto se possibile ancora più essenziale rispetto
a This Old Road, magari senza lo stesso effetto spiazzante, con buona
parte del materiale che ha avuto una gestazione recente, mentre il resto
è giunto da archivi che Kris Jriostofferson non aveva mai scoperchiato,
come quella traccia fantasma - semplicemente "untitled" - che lui stesso
scrisse a undici anni, la sua prima canzone.
La profondità del repertorio mette dunque in salvo da qualsiasi recriminazione
sulla forma: breve, spartano, poco appariscente, Closer to the Bone non
fa nulla per accativarsi l'ascoltatore distratto. È folk music terribilmente
reale da fare male, da sanguinare in ballate con una candenza fuori del
tempo (Starlight and Stone, Let
the Walls Come Down), solenni proprio nel contrasto con il
loro suono così ridotto al lumincino.
Una versione deluxe di Closer to the Bone esce con l'aggiunta di un poster
e soprattutto del Live From The Olympia Theatre, otto canzoni tratte da
una tre giorni di sold-out al famoso teatro di Dublino nel tour del 2008.
(Fabio Cerbone)