Il solo riferimento esplicito contenuto nel titolo, The Wreckage,
non cancella l'incubo che Will Hoge ha vissuto durante la preparazione
del suo quinto lavoro: nessuna canzone in particolare sembra richiamare
direttamente l'incidente stradale che ha costretto il rocker del Tennessee
ad una lunga degenza e riabilitazione fisica, eppure è sembrato del tutto
logico "omaggiare" quello schiaffo ricevuto dalla vita con un disco che
simboleggiasse la rinascita. Si trovava proprio nel bel mezzo delle registrazioni
che avrebbero costruito il nuovo album Will Hoge quando, uscendo con il
suo scooter dagli studi di Nashville, si è visto sbalzare dal mezzo e
crollare il mondo addosso. Nove mesi di stop forzato prima di riprendere
con Ken Coomer e Charlie Brocco, suoi produttori inossidabili da qualche
anno a questa parte, l'impegno interrotto mentre le canzoni stavano già
prendendo una loro forma. The Wreckage non accusa certamente, nei suoni
e negli arrangiamenti, nessuna sospensione o ripartenza: è omogeneo, dritto
al punto, quel groviglio di southern rock, pop e soul che infonde il canto
e il songwriting di Will Hoge.
Il quale conferma una volta di più le difficoltà di acciuffare l'impetuosità
dei suoi live show dentro le mura di uno studio. The Wreckage, nonostante
le chitarre di Kenny Vaughan e Pat Buchanan, ovvero una delle migliori
coppie di manici a Nashville e dintorni, nonostante l'assistenza di Dan
Baird e l'organo di Jen Gunderman (ex Jayhawks) sembra sempre un passo
troppo in là verso la bellezza formale, qualcosa che gratta via la scorza
rock del Will Hoge performer. Più esuberante e meno incline alle soffici
carezze soul del predecessore, il disco ha certamente il vantaggio di
offrire un rock'n'roll già impachettato per un'esplosione dal vivo: in
Long Gone tira un'aria swamp sudaticcia
niente male, Favorite Waste of Time
e Just Like Me sfoderano tutto il
pathos della perfetta ballata rock mentre Even
If It Breaks Your Heart e Highway
Wings hanno la stoffa dei singoli. Qui Will Hoge è da sempre
un diligente discepolo: la prima pare uscire da Into the Great Wild Open
di Tom Petty, tanto bilancia melodia e chitarre, la seconda è svelta e
radiofonica al punto giusto, qualcosa che gente come Pete Droge o Matthew
Sweet non riesce più a scrivere da anni.
La piacevolezza innocente di The Wreckage e il suo essere
orgogliosamente fuori da ogni schema attuale sta tutta qui, anche se non
è da sottovalutare il romanticismo plateale di certe ballate dalle tonalità
così soulful (una dolciastra Goodnight Goodbye
cantata in coppia con Ashley Monroe), a volte però pericolsamente anonime
(Where Do We Go From Down, la stessa
title track). Ecco, l'idea che Will Hoge non fosse un campione di scrittura
potevamo anche averla intuita, ma da un ragazzo che ostinatamente conserva
l'indole dei rocker passionali alla Bob Seger (e con gentile concessione
di un po' di armonia alla Tom Petty) gradiremmo forse qualche rischio
in più. (Fabio Cerbone)