Jay
Farrar & Benjamin Gibbard
One Fast Move or I'm Gone -
Music From Kerouac's Big Sur
[F-Stop/Atlantic
2009]
Dici Kerouac e pensi a frasi che si rincorrono su rotoli di carta da telescrivente,
a dita che cercano di stare dietro alle illuminazioni di una mente combusta
meno da alcol e droghe che dall'inquietudine di una vita che sfugge alla
presa... dita che provano a ricalcare sui tasti di una macchina per scrivere
le veloci progressioni di Charlie Parker sul suo strumento. Kerouac e
il bebop: l'invenzione di un linguaggio vergine che ogni aspirante scrittore
dell'ultimo mezzo secolo ha tentato di prostituire, prima o poi. Ma il
Kerouac di Big Sur, romanzo che prende distanza dal suo mito, dalla
prigione in cui il clamore di Sulla strada l'aveva rinchiuso, è un uomo
che si esilia in una capanna tra i boschi della California per vincere
la dipendenza dall'alcol e, soprattutto, dal suo stesso personaggio. Il
tentativo di disintossicazione fallì ma il libro, pur confuso e inconcludente,
resta forse l'ultima sua cosa interessante da leggere: su questo periodo
della vita dello scrittore il nipote Jim Sampas ha prodotto un film, diretto
da Curt Worden, che lo ricostruisce con testimonianze di chi c'era (i
sopravvissuti della beat generation, ormai pochi) e di chi avrebbe voluto
esserci e quell'epoca l'ha vissuta nello spirito (Tom Waits, Sam Shepard,
Patti Smith...).
A commentare le immagini non c'è Charlie Parker, ma due vagabondi dell'alt.country
e dell'indie rock. Jay Farrar lo conoscete, mentre su Ben Gibbard
spendiamo due parole: con i suoi Death Cab for Cutie proprio a Big Sur
nel 2008 ha registrato un album, Narrow Stairs, che avrebbe meritato una
segnalazione anche su queste strade. L'incontro risale al 2007, quando
il progetto del film prese corpo, e la pronta sintonia tra i due (chi
sarà il Dean e chi il Sal della situazione?) portò ad una collaborazione
più impegnativa, lungo l'arco di due d'anni, di cui questo disco è il
parto. One Fast Move or I'm Gone contiene le canzoni del
film più altre, ispirate dalla lettura del romanzo, con citazioni e adattamenti
dal libro legati insieme da un filo acustico intessuto di blues e folk,
lontano dal jazz urbano amato da Kerouac. L'incontro funziona, i due musicisti
sono ispirati e dalla povertà di mezzi espressivi (le loro chitarre, un
piano, qualche intervento ritmico, la sporadica presenza di Mark Spencer
dei Son Volt) spremono melodie avvolgenti, il mood che ci trasporta con
lo spirito nella solitudine dei boschi della California a purgarci l'anima.
I brani hanno una sostanza introspettiva che illumina il lato meditativo
- mistico anche - più che quello on the road, frenetico della scrittura
di Kerouac. L'arma vincente è il contrasto, irrisolto e quindi fecondo,
tra l'anima depressa di Farrar, con quella voce cinica, ridotta a volte
ad un mugugno che insegue i voli della pedal steel (Low
Life Kingdom, la disperata Big Sur:
"I'm just a sick clown and so is everybody else") o lo scheletro di un
blues (Breath Our Iodine, Final
Horrors), e la solarità del timbro di Gibbard, le sue melodie
aperte (All in One, These
Roads Don't Move). Un contrasto che si accende quando le voci
urtano nella stessa canzone, come nella title track. Pur nella staticità
della musica, che non esce dai saputi perimetri, questo disco è un viaggio,
che si avvia con la brillante California Zephyr
("Now I'm transcontinental/3000 miles from my home/I'm on the California
Zephyr/Watching America roll by") per chiudersi su una nota scura (la
mesta San Francisco) che sa di sconfitta.
E' lo stesso contrasto di cui vive il libro, tra anelito di redenzione
e caduta. Poco importa se la tensione originaria della prosa di Kerouac
si scioglie in bozzetti crepuscolari in cui manca lo scarto, l'improvvisazione,
lo scuotimento di sensi e ritmi. Jack si incazzerebbe a sentire le sue
parole cullate in questo modo, a vedere il suo dramma trasformato in elegia.
Ma poco importa, amico, fattene una ragione: a noi il disco piace. (Yuri Susanna)